lunedì 20 dicembre 2010

Presunto traffico di organi in Kosovo

Si infittisce il mistero del presunto traffico di organi umani in Kosovo che dovrebbe essere avvenuto durante la guerra con il coinvolgimento dell’UCK (Esercito per la liberazione del Kosovo). La notizia, ripresa anche dal Guardian e dalla Bbc, è rimbalzata in tutto il mondo appena dopo una settimana dalle prime elezioni kosovare. Domenica 12 dicembre è stato eletto premier Hasim Thaci. personaggio sicuramente non erede di un passato inequivocabilmente democratico, che era chiamato “il serpente” per i modi spietati in cui gestiva i partigiani kosovari ed albanesi quando, al Comando dell’UCK, ed organizzava la guerriglia fra i monti dell’Albania. Il neo Primo Ministro in un rapporto del senatore svizzero Dirk Marty consegnato al Consiglio d’Europa è descritto come capo di una potente mafia coinvolta nel traffico di armi e droga e di organi espiantati ai prigionieri serbi. Thaci viene indicato come il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Un documento discusso ed approvato dalla componente dei diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (organismo a latere dell’Unione Europea) che ha sottoscritto una risoluzione con cui si chiede formalmente l’apertura di un’inchiesta giudiziaria. Thaci, come riferito dalle agenzie di stampa, respinge le accuse con sdegno, ma sembra che esistano prove incontrovertibili riportate da documenti della FBI e dell’Intelligence americana, peraltro alleata dell’UCK durante la guerra contro la Serbia. Nel documento sono riferiti abusi di ogni genere avvenuti anche dopo la fine delle ostilità del giugno del 1999. Gli investigatori europei quantificano in circa 500 persone scomparse dal Kosovo dopo l’arrivo delle truppe della NATO. Circa un quinto di costoro albanesi accusati di collaborazionismo, gli altri serbi anche di etnia rom. Nel rapporto si parla anche di un certo Shaip Muja, un medico oggi consigliere del Primo Ministro, al quale era affidato il controllo degli aspetti sanitari riguardanti il commercio degli organi. Thaci, che ha appena celebrato la sua vittoria nelle prime elezioni politiche svolte dopo il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo dichiarata il 17 febbraio 2008, ora guarda con preoccupazione al rapporto redatto anche sulla base di documenti di servizi segreti come il Bnd (Germania), il Sismi italiano, l’ MI6 britannico e il greco Eyp. L'Assemblea parlamentare europea dibatterà sull’argomento il 25 gennaio 2011 durante la sua sessione plenaria invernale per esprimere un parere sull’affidabilità di quanto sottoscritto da Dirk Marty. Nel frattempo le istituzioni kosovare dovranno dimostrare la volontà di cooperare con il Consiglio d’Europa per giungere ad una verità convincente che indichi alla comunità internazionale la volontà del Kosovo di voler raggiungere l’indispensabile emancipazione politica e democratica necessarie per poter aspirare ad un completo riconoscimento internazionale. Un obbligo morale oltre che politico che il nuovo Premier kosovaro non può disattendere, dimostrando la sua estraneità ai terribili fatti imputatigli e fugando qualsiasi dubbio sulla fondatezza dell’indipendenza raggiunta dopo agli accordi di Dayton. Un dovere che l’Europa, gli Stati Uniti e l’ONU devono pretendere che sia rispettato senza esitazione per dimostrare la validità della loro politica svolta nei Balcani negli anni ’90 e del riconoscimento dell’autonomia del Kosovo come Stato sovrano destinato a far parte dell’Unione Europea insieme agli altri Paesi balcanici. Thaci dovrà palesare la sua estraneità a questi fatti orribili, condizione essenziale perché il Kosovo non rappresenti di nuovo motivo di instabilità nella regione, compromettendo la coesistenza pacifica delle diverse etnie e religioni presenti nei Balcani che è stata raggiunta dopo più di un decennio a prezzo di sacrifici enormi in termini economici ed umani.
19 dicembre 2010

mercoledì 15 dicembre 2010

Guerriglia a Roma

Gli episodi di guerriglia urbana avvenuti nel pomeriggio del 14 dicembre a Roma, evidenziano un’organizzazione ed un coordinamento dei manifestanti che non può essere imputata a studenti impegnati a proporre un loro disappunto. Peraltro, in questa circostanza, gli attori principali erano giovani molti dei quali appena maggiorenni per quanto dato da capire dall’aspetto. Folla di ragazzi scesi in strada per manifestare il dissenso con un approccio goliardico, avulso da qualsiasi forma di violenza. Osservando con attenzione le immagini di quanto accaduto immediata, invece, la conclusione che tutto sia stato preordinato nel dettaglio. La logistica, le modalità operative ed il network delle comunicazioni sicuramente non sono stati improvvisati come non è stata inventata sul momento la tattica delle azioni compiute. Gruppetti che hanno colpito in ordine sparso concentrando in punti prestabiliti la reazione delle forze dell’ordine per favorire l’infiltrazione improvvisa di altri nuclei numericamente modesti ma preparati a colpire obiettivi prefissati ed a ritirarsi immediatamente, diradandosi. Gente dotata di ogni tipo possibile di arma impropria, pale, picconi, stracci imbevuti di liquidi infiammabili, petardi, bombe carta e quanto altro adatto a provocare danni seri alle persone ed alle cose. Manifestanti che hanno raggiunto Roma da tutta Italia ed anche dall’estero come dimostrato dalla cittadinanza francese di uno degli arrestati. Folla, quindi, non estemporanea e casualmente aggregata in gruppi, piuttosto precostituita in nuclei organici organizzati, equipaggiata con appropriati mezzi di offesa in sostituzione dei normali striscioni generalmente utilizzati per rendere pubblico il dissenso. Gravi manifestazioni di violenza gratuita che non dovrebbero più far parte della cultura democratica occidentale e che, invece, dopo decine di anni, sono ritornati prepotentemente ed improvvisamente sulla ribalta europea. Azioni di guerriglia urbana molto simili fra loro, che si susseguono nei principali Paesi europei. Francia, Gran Bretagna, Grecia ed Italia stanno ospitando, infatti, azioni violente che inducono a pensare che nel Vecchio Continente afflitto dalla crisi economica e con un Euro poco stabile, qualcuno opera con la volontà di inasprire le tensioni sociali per imporre realtà politiche altrimenti poco appetibili. Un’ipotesi confermata dal tipo delle tattiche applicate sulle strade e contro la polizia, dal tipo di armi improprie utilizzate, comuni a tante le altre manifestazioni europee che hanno avuto protagonisti gruppi eversivi della stessa origine ed estrazione politica e culturale. Gente forse anche legata alla malavita organizzata, a strutture criminali che traggono beneficio dal clima di tensione a favore dei loro traffici illeciti, primo fra tutti il commercio della droga. Gruppi eredi delle Brigate Rosse italiane, degli irredentisti irlandesi, della Rote Armee Fraktion tedesca e delle minoranze basche spagnole, probabilmente anche collusi con il terrorismo internazionale. E’ incontrovertibile che la tensione esiste e che è destinata a crescere se alimentata da posizioni politiche estreme manifestate attraverso pericolosi incitamenti verbali che possono esasperare gli animi ed indurre ad estremismi, in particolare se diretti verso e giovani generazioni. La storia ci insegna che nel momento che gli studenti scendono in piazza perché manipolati da un’informazione strumentale nasce il pericolo dell’insorgenza di forme di contestazione spesso difficilmente gestibili, con il rischio che la situazione possa trascendere verso forme che riporterebbero qualsiasi situazione mille anni indietro rispetto al momento della conquista dei diritti democratici. Una minaccia che non può essere sottovalutata, ma che deve essere analizzata nel dettaglio per essere in condizione di prevenirla eliminando ogni possibile rischio di vedere in futuro compromesse le garanzie dello Stato di diritto.
15 dicembre 2010

sabato 11 dicembre 2010

La Cyberguerra

Wikileaks in questi giorni sta dimostrando di essere una realtà in grado di influire sugli equilibri internazionali andando ad intaccare i rapporti fra li Stati. Un modello in grado di avere effetti sulle strutture di potere globale nonostante che le informazioni finora diffuse abbiano carattere di gossip piuttosto che notizie sensibili. “Chiacchere di party” o sapienti sintesi di articoli di stampa comunque potenzialmente in grado di influire sugli equilibri internazionali. Wikileaks rappresenta, in ogni caso, una delle espressioni della moderna realtà globale a fianco di Internet e di Al Qaeda, dimostrando di essere in grado di incidere sul futuro ordine internazionale in cui potrebbe prevalere la forza piuttosto che i confronti economici o l’eticità dei rapporti. Una realtà che, per quanto noto, allo stato attuale sta comunque evidenziando solo la capacità di gestire la divulgazione di una grossissima mole di informazioni copiate con la complicità di funzionari corrotti e non ottenute attraverso tecniche di pirateria informatica evoluta ed in grado di permeare i Data Base istituzionali. In ogni caso la minaccia esiste e si impongono immediate iniziative di difesa in grado di applicare tecniche di “Cyberguerra” intesa come l'alterazione e/o la distruzione dell'informazione e dei sistemi di comunicazione dell’avversario, gestendo gli equilibri dell'informazione stessa attraverso l’uso di evolute tecnologie elettroniche, informatiche e di adeguati sistemi di telecomunicazione. Una guerra non combattuta sul terreno ma davanti agli schermi dei computer, destinata a condizionare il futuro. Risulta che il Pentagono USA abbia anticipato i tempi e disponga già di una struttura in grado di rendere attuali forme di difesa ed offesa informatica. Quasi mille agenti “cyberguerrieri” coordinati da un Generale a quattro stelle. Anche la Gran Bretagna sta seguendo la stessa strada con consistenti investimenti economici nonostante i tagli di bilancio indotti dalla crisi economica del momento. A Lisbona, in occasione del recente vertice della NATO la “Cyberwar” è stata oggetto di confronto fra i partecipanti arrivando alla decisione comune di posizionare l’esigenza fra le undici prioritarie che l’Alleanza dovrà affrontare nel breve periodo. Peraltro, altre potenze mondiali “non NATO” come la Cina, stanno investendo consistenti risorse economiche e di potenziale umano nello specifico settore ed iniziative simili potrebbero anche suscitare l’interesse delle organizzazioni terroristiche internazionali, prime fra tutti Al Qaeda. Anche l’Italia si sta preprando ad affrontare la potenziale minaccia e proprio in questi giorni, alla fine dello scorso mese di novembre, è stata svolta una esercitazione militare sullo specifico tema. Il Comando C4 della Difesa ha sviluppato una serie di attività specifiche nel quadro della “Cyber shot 2010” per verificare la propria capacità di risposta ad una possibile crisi internazionale dovuta ad attacchi di “Cyberwarfare”. Un vero e proprio confronto fra i vari protagonisti impegnati che hanno sviluppato concrete operazioni simulate con il coinvolgimento di tutti gli apparati istituzionali italiani e rappresentanti dell’industria nazionale che opera nello specifico. L’impegno internazionale, quindi, è già orientato ad affrontare la specifica minaccia che potrebbe rappresentare uno dei parametri condizionanti la futura sicurezza internazionale. Uno sforzo sicuramente oneroso, ma se gli obiettivi saranno raggiunti strutture come Wikileaks e gli hackers fiancheggiatori avrebbero scarsissime possibilità di successo, simili a quelle di una feluca di corsari che attaccasse una fregata a propulsione nucleare.
11 dicembre 2010

lunedì 29 novembre 2010

Il terrorismo evolve

Wikileaks ha pubblicato circa 250 mila documenti tratti dagli archivi USA. Una diffusione limitata rispetto al milione di files preannunciati che conferma una scelta a monte, indotta probabilmente da decisioni politiche piuttosto che redazionali. Una divulgazione che dimostra come le possibili azioni destabilizzanti e quindi terroristiche non sono più solo rappresentate da atti eclatanti come quelli dell’11 settembre, ma possono essere attuate anche attraverso azioni globali improntate al’antico concetto “dividi et impera”. Per quanto noto, infatti, quello che è stato pubblicato non risparmia nessuno dei potenti del mondo. Vladimir Putin descritto come un autoritario. Silvio Berlusconi amante delle riunioni conviviali selvagge definito portavoce della Russia in Europa. Sarkozy dipinto come "imperatore nudo". La Cancelliera Merkel che “naviga” evitando i rischi. Il presidente afgano Hamid Karzai afflitto da paranoia e Gheddafi caratterizzato da ipocondria. L’ONU ed il suo segretario generale Ban Ki-moon oggetto di interesse dell’intelligence americana gestita da Obama e dal suo segretario di Stato Hillary Clinton (nota del 31 luglio 2009). Veline su azioni segrete USA progettate per portare via da un reattore nucleare pakistano uranio altamente arricchito, nel timore che potrebbe essere utilizzato per realizzare un ordigno terroristico “sporco”. Documenti che insieme a centinaia di altri incideranno forse in maniera indelebile sulle relazioni diplomatiche internazionali con effetti difficilmente immaginabili. Una realtà che indica al mondo l’assoluta permeabilità dei sistemi di sicurezza statunitensi ed innesca sfiducia e perplessità in tutte le altre entità mondiali che quotidianamente interagiscono con gli USA. Molti i dubbi su chi possa essere il promotore dell’iniziativa di Wikileaks. Sicuramente un regista che ha l’interesse di ridicolizzare gli USA ed attivare una forma di terrorismo silente molto più pericoloso di quello tradizionale. Non sono una novità i rapporti fra Berlusconi e Putin come le preoccupazioni del mondo arabo moderato di fronte alla crescita nucleare dell’Iran, ma la dimostrazione che improvvisamente comunicazioni istituzionali possano diventare oggetto di conoscenza globale rappresenta una pericolosa rottura degli equilibri che fino ad ora hanno caratterizzatogli equilibri politici ed economici mondiali. La divulgazione dei documenti ha proposto alla gente informazioni non commentate né inquadrate nel contesto generale che le ha derivate. E’ stata attivata una forma di “liberalismo informativo” apparentemente moderno ed evoluto ma di fatto pericoloso in quanto foriero di spunti cognitivi avulsi dal contesto generale delle realtà che possono aver dato origine ai contenuti divulgati. Non è , quindi, azzardato affermare che siamo di fronte ad una forma evolutiva del concetto di terrorismo inteso come atto destabilizzante piuttosto che azione cruenta di tipo militare. Una penetrazione silenziosa nel substrato sociale occidentale e del mondo orientale ad esso alleato, che si accompagna all’azione avviata da tempo per colpire le generazioni emergenti attraverso la diffusione della droga. Una conferma che il terrorismo internazionale dispone di altre forme di offesa forse più efficaci dell’esplosivo, tali da incidere significativamente sulla sicurezza globale. In questo contesto il sito di Julian Assange fondato nel 2006 con lo scopo di garantire i diritti umani ed il diritto di informazione ha fallito nel proprio scopo. La divulgazione come segreti di documenti che per la maggior parte rientrano nella routine della diplomazia internazionale rappresenta, infatti, una vera e propria minaccia alla stabilità globale ed alla sicurezza delle singole persone nel momento che gli atti pubblicati sono più vicini a forme di gossip piuttosto che essere caratterizzati da contenuti politici costruttivi. Atti che, però, potrebbero rappresentare oggetto di stimolo per forme di esaltazione collettiva sicuramente non favorevoli per la stabilità internazionale e per l’integrazione delle diverse culture e religioni. Divulgare, infatti, notizie avulse da ogni contesto contingente è assolutamente pericoloso ed assimilabile ai video clip di Bin Laden quando inneggia alla jahad ed al terrorismo internazionale.
29 novembre 2010

giovedì 18 novembre 2010

Droga e terrorismo in Afghanistan


Una delle possibili fonti per il finanziamento del terrorismo internazionale deriva dal commercio della droga. Attività illecita che favorisce i legami della malavita locale con i possibili gruppi terroristici o altre organizzazioni substatuali che localmente si oppongono al Governo istituzionale. In Afghanistan la coltivazione del papavero da oppio, la trasformazione in eroina ed il successivo commercio della droga verso i mercati occidentali ha rappresentato e rappresenta una significativa fonte di reddito anche per le forze eversive che operano nel paese. Risorse che consentono ad Al Qaeda ed ai suoi fiancheggiatori di mantenere alta la tensione e ritardare il processo di stabilizzazione. Le Nazioni Unite, attraverso l’Ufficio contro la Droga ed il Crimine (UNODC), da anni sono impegnate a contrastare la produzione della droga afgana con risultati non sempre positivi per l’opposizione dei Signori della Guerra che nel paese controllano il territorio e gestiscono il commercio illecito. Attualmente le Nazioni Unite hanno perduto il controllo della produzione di oppio in Afghanistan da dove viene esportato il 90% della richiesta mondiale di oppiacei. Attività illecite che giorno dopo giorno consolidano i rapporti di connivenza dei Signori della Guerra con Al Qaeda e che assicurano consistenti interessi economici che coinvolgono anche personalità locali vicine al governo di Kabul, come il fratellastro del Presidente Karzai. Realtà che le Nazioni Unite stanno cercando di affrontare introducendo programmi agricoli alternativi per sostituire la produzione del papavero con coltivazioni lecite. Significativo un recente progetto che cerca di incoraggiare gli agricoltori afgani a passare alla coltivazione dello zafferano, una delle spezie più costose al mondo e di cui la sola Europa ne consuma circa 300 tonnellate ogni anno. Se si riuscisse a raggiungere l’obiettivo l’Afghanistan diventerebbe uno dei maggiori concorrenti dell’Iran nella produzione dello zafferano ed i contadini afgani potrebbero raddoppiare i loro redditi. Un ettaro di terreno coltivato a papaveri da oppio garantisce, infatti, dai 2.000 ai 3.500 Euro/anno mentre un’area di eguale superficie coltivata a zafferano può arrivare a 8.500 Euro/anno. Nell’area di Herat le forze militari italiane ed i “Provincial Reconstruction Team” hanno già avviato una fase sperimentale coinvolgendo alcuni agricoltori locali che sono già passati alla coltivazione dello zafferano. Molte, però, le difficoltà. Il processo evolutivo in corso, infatti, deve vincere la resistenza dei “potenti locali” che oggi traggono profitto dal commercio della droga e degli stessi agricoltori che coltivando oppio sono pagati in anticipo. Anche personalità della cultura afgana sono abbastanza scettiche sui possibili risultati, come ha recentemente esplicitato Ghulam Rasoul Samadi della Facoltà di Agraria dell'Università di Kabul. "Il mercato mondiale dello zafferano è molto minore di quello dell’oppio ed una realtà socio economica devastata quale quella afgana sicuramente è più favorevole al reddito immediato che l'oppio può garantire". Il quadro di situazione in prima approssimazione non sembra, quindi, favorire le iniziative orientate ad invogliare la popolazione agricola ad impegnarsi in attività produttive diverse dalla coltivazione del papavero e che potrebbero, invece, innescare reazioni violente di chi in Afghanistan controlla lo specifico commercio, i Signori della Guerra. Costoro sarebbero in grado di ricorrere anche all’utilizzo di IED artigianali contro chi è impegnato nel controllo del territorio per favorire la pacificazione del paese e di tutti coloro che da anni lavorano per incrementare la “Capacity Building” afgana insieme ad una parte della popolazione locale. Militari della NATO e dell’Esercito afgano, funzionari dell’ONU e delle Organizzazioni Non Governative e la popolazione rurale locale che dimostra interesse verso nuove forme di produzione agricola. Un pericolo che non deve essere sottovalutato da chi intende portare avanti il processo di riconversione agricola del paese, per non correre il rischio di esaltare i contenuti della minaccia terroristica la cui gestione potrebbe coinvolgere oltre ai Talebani anche i produttori di oppio preoccupati della stabilità dei loro feudi. Qualsiasi progetto, quindi, non dovrà essere limitato alla solo fornitura di risorse economiche, delle sementi e di quanto altro necessario alla conversione della produzione agricola, ma dovrà prevedere anche e soprattutto iniziative che coinvolgano i Signori della Guerra nella gestione delle nuove forme produttive e commerciali assicurando loro una redditività maggiore del ricavato per la produzione e la vendita dell’oppio e dell’eroina. Con ogni probabilità percorrendo questa strada si potrà sperare di abbattere nel medio termine la produzione della droga afgana, condizione prioritaria per facilitare il processo di stabilizzazione. Risultato importantissimo anche su un piano globale in quanto riducendo drasticamente il flusso di merce illecita sui mercati internazionali potrà essere contrastato il “terrorismo bianco” che attraverso lo spaccio della droga ormai coinvolge sempre di più le generazioni emergenti del mondo Occidentale.
18 novembre 2010

martedì 9 novembre 2010

Una forma di terrorismo emergente

Nell’ultima settimana si è assistito ad un improvviso risveglio della minaccia terroristica. Si torna a parlare di Al Qaeda impegnata contro l’Occidente con terroristi che dopo l’11 settembre tornano a riaffacciarsi sullo scenario internazionale, non con un’azione singola ed eclatante come quella contro le Torri Gemelle, ma con una serie di episodi contemporanei, gestiti a “macchia di leopardo”. Pacchi esplosivi che partono dallo Yemen, sospetti terroristici in procinto di entrare in azione, intercettati a Parigi, a Londra, in Germania ed in Italia. Obiettivi l’Europa e gli USA e le minoranze cristiane che vivono nei paesi islamici. Nuove minacce dell’eversione internazionale rilanciate recentemente da Dubai dal numero due di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri e proclami su Internet riproposti dalla cellula irachena contro il mondo cattolico copto residente in Egitto. Parole accompagnate da importanti episodi oggettivi. In Somalia le fazioni terroristiche degli integralisti di Al Shabaab vicini ad Al Qaeda hanno ripreso a colpire. In Iraq ostaggi sequestrati in una chiesa cattolica di Bagdad, tutto finito in un bagno di sangue. Nel nord ovest del Pakistan due attacchi terroristici in moschee gremite di fedeli ¬con la morte di oltre 70 persone. Una prima azione condotta in una delle più importanti aree tribali pakistane, Darra, centro di produzione e commercio di munizioni ed armi costruite localmente da artigiani, realtà da sempre assolutamente autonoma da Islamabad. Un secondo attac¬co a Suleman Khel zona che ospita ancora importanti esponenti della vecchia nomenclatura di Al Qaeda, dove operano raffinerie di eroina e sulle cui strade transita una buona parte del commercio di droga diretto verso Occidente. Quasi contemporaneamente, sempre in Pakistan, nelle vicinanze del villaggio di Khuak, un altro attentato contro i militari italiani. Un IED a bordo strada è esploso al passaggio di un convoglio degli alpini. Infine un blitz delle truppe della NATO in Afghanistan, in occasione del quale il 1 novembre sono state sequestrate 24 tonnellate di nitrato di ammonio. Prodotto chimico essenziale per realizzare esplosivi artigianali che possono essere utilizzati per la fabbricazione di IED autocostruiti e la cui produzione e commercio è proibito da una legge voluta da Karzai all’inizio dell’anno. Oltre al nitrato sono stati sequestrati anche 40 kg di oppio e 2.000 kg di materiale chimico per trasformare l’oppio in eroina. Ritrovamenti che lasciano pensare che i Signori della Guerra ed i commercianti di droga afgani hanno stretto alleanze con i Talebani per mantenere alta la tensione nel Paese. Una serie di eventi concorrenti seppure diversi fra loro per quanto attiene agli obiettivi ed alla tipologia dello strumento utilizzato. Circostanze che inducono a pensare che forse non tutto quanto accaduto nel mondo sia attribuibile ad Al Qaeda. Piuttosto è probabile che diversi attori si stiano affacciando sullo scenario terroristico internazionale concorrendo ad un’azione terroristica motivati non solo da scopi politici e militari. I due pacchi bomba intercettati nei cargo dell’UPS, almeno per quanto reso noto, sono diversi da quelli indirizzati “via Atene” al Presidente francese, al Presidente Berlusconi ed all’Ambasciata svizzera in Grecia. Nei primi è stata utilizzata pentrite, un esplosivo molto potente, collegato ad un appropriato innesco e ad un dispositivo di attivazione elettronico abbastanza sofisticato. I pacchi indirizzati alle personalità od alle sedi diplomatiche europee contenevano, invece, solo una modestissima carica incendiaria, che poteva ferire, ma non provocare stragi. L’attacco agli alpini italiani lascia pensare che sia stato utilizzato un IED a basso potenziale, realizzato artigianalmente proprio impiegando nitrato di ammonio e parti di mine anti carro. L’ordigno è sfuggito all’interdizione degli jammer da cui si deduce che il sistema di attivazione non era un sofisticato sistema elettronico di nuova generazione. Tecniche che ricordano quelle applicate della resistenza afgana durante l’invasione sovietica e di cui i Signori della Guerra ed i commercianti di droga afgani rappresentano la “memoria storica ed operativa”. Nuove forme di terrorismo con azioni le cui motivazioni lasciano prevedere che in futuro saremmo sempre di più coinvolti in episodi globali sviluppati a “macchia di leopardo”. Con ogni probabilità è in atto una crescente connivenza fra “insorti” tradizionali e gruppi substatuali motivati da interessi destabilizzanti. Costoro potrebbero trovare nei gruppi malavitosi locali importanti sostegni e coperture, come avviene, attualmente, per le cellule eversive “dormienti” sparse nel mondo insieme alle quali condividono interessi nel riciclaggio del danaro ed in altre attività non lecite. Organizzazioni criminali, quindi, pronte ad aiutare i gruppi eversivi in cambio di forniture di droga ed armi. Malavita che potrebbe garantire la disponibilità di materiale non convenzionale per realizzare IED “sporchi”, come le sostanze chimiche letali o le scorie radioattive che possono essere reperite sui mercati clandestini gestiti dai racket. Alleanze che se si consolidassero potrebbero rendere la minaccia globale molto pericolosa, difficile da prevedere e quindi da contrastare.

6 novembre 2010

lunedì 1 novembre 2010

Le nuove strategie terroristiche

Al Qaeda ha cambiato strategia terroristica. Azioni contemporanee con l’impiego di IED nascosti in oggetti di uso comune. E’ quanto avvenuto in questi giorni in cui l’esplosivo è stato nascosto in cartucce di toner per stampanti, trasformate in ordigni esplosivi e caricate a bordo di vettori aerei destinati al trasporto delle merci. IED realizzati in Yemen, sembra dall’artificiere di Al Qaeda Ibrahim Hassan al Asiri, un ventottenne saudita. Probabilmente il medesimo artificiere che ha realizzato a dicembre del 2009 l’ordigno che fortunatamente non ha funzionato e che era nascosto nelle mutande di un attentatore nigeriano anche esso proveniente dallo Yemen ed imbarcato su un aereo della Delta airline in volo verso Detroit. Gli IED nascosti nelle stampanti presentano in prima approssimazione soluzioni tecnologiche più sofisticate rispetto a quello portato dal nigeriano. Realizzati con lo stesso esplosivo ma con un innesco sicuramente più efficace ed un sistema di attivazione elaborato, costituito da una scheda elettronica collegata ad una carta telefonica SIM. Gli IED (Improvised Explosive Device) rinvenuti sono stati realizzati con un esplosivo molto potente, la Pentrite, facilmente recuperabile negli attuali Teatri di guerra in quanto presente in molto del munizionamento bellico di medio e grosso calibro abbandonato inesploso sul terreno o accessibile negli ex depositi militari non più presidiati. La tipologia degli ordigni ricavati da oggetti di uso comune prediligendo pacchi, libri, lettere e quanto altro di simile, non rappresenta una novità ma è una prassi nota applicata da chi è stato addestrato ad occuparsi di sabotaggio. Semmai, indica che è stato attivato un collegamento delle cellule in Yemen con la resistenza afgana e con la componente eversiva residente in Somalia, maestri nel trasformare normali oggetti in micidiali trappole esplosive. Difficile dire se in questa occasione si tratta di una prova generale o se, piuttosto, l’azione terroristica sventata potrebbe essere seguita a breve da altri attacchi. Un fatto è certo. Esiste un flusso di terroristi che progressivamente abbandonano le aree tribali pakistane, il sud dell’Afghanistan e l’Iraq, per stabilirsi nello Yemen a ridosso del Golfo di Aden. Le basi pakistane al confine con l’Afghanistan non garantiscono ormai affidabili condizioni di sicurezza e sono sempre di più esposte ai bombardamenti degli USA. La dislocazione yemenita agevola il link ormai consolidato da anni fra le cellule operanti in Asia Centrale e quelle dislocate nel Corno d’Africa ed in Sudan. Scelta quella delle cellule trasferite in Yemen che ha una certa affinità con quella fatta a suo tempo dalla vecchia nomenclatura di Al Qaeda quando decise di stringere accordi con le Agenzie Tribali pakistane autonome da Islamabad. Oggi analoga garanzia offrono le tribù yemenite che si oppongono alla politica di Sanaa in un paese il cui governo centrale non riesce a controllare l’intero territorio nazionale. Forse siamo di fronte ad una nuova generazione terroristica non più condizionata dal “misticismo ideologico” che aveva spinto Bin Laden ed il suo staff ad operare nascosti nelle grotte di Tora Bora per essere vicini ai mujaeddhin e condividere con loro il pericolo. Una classe dirigente moderna, maturata all’ombra di Al Qaeda ma pronta ad evoluzioni operative non ancora esattamente configurabili. Sicuramente terroristi preparati, la cui potenzialità andrebbe valutata con maggiore cautela rispetto ai vari pareri espressi in questi giorni. Giudizi affrettati che da più parti hanno definito i terroristi gente poco esperta che non è riuscita a fare esplodere gli ordigni che invece con ogni probabilità non hanno funzionato in quanto intercettati prima di quando era stato programmato l’atto terroristico. Gente con passaporto americano vo¬tati alla guerra santa interna¬zionale come gli occidentali convertiti all’islam residenti nelle zo¬ne tribali al confine fra il Paki¬stan e l’Afghanistan appartenenti ad Al Qaeda o già arruolati dai talebani somali. “Occidentali” che conoscono bene la realtà internazionale e sanno come sfruttare “i varchi” per far passare un kamikaze o un pacco bomba diretto verso gli Stati Uniti o l’Europa. Una realtà che deve essere affrontata con azioni preventive come quelle che hanno annientato recentemente la cellula eversiva formata da te¬deschi e inglesi che sposata la causa di Al Qaeda e rifugiati nelle Aree Tribali pakistane erano in procinto di compiere azioni terroristiche contro l’Europa. Lo stesso OBAMA, mettendo da parte condizionamenti politici, ha firmato dopo il fallito attentato di detroit l'ordine esecutivo per uccidere Al Awlaki guida spiritua¬le di Al Qaeda nello Ye¬men. Gli eventi di questi giorni indicano la volontà di Al Qaeda di ricorrere ad azioni terroristiche globali. Gli IED sugli aerei sono stati accompagnati da azioni terroristiche contemporanee come l’attacco suicidio in Turchia e l’azione contro i cristiani raccolti in preghiera in una chiesa di Bagdad. Episodi che hanno seguito in rapida successione l’esplosione di una bomba contenuta all’interno di un contenitore per il latte posizionato all'esterno di un mausoleo sufi a Hazrat Baba nella provincia pakistana del Punjab ed il duplice attacco suicida avvenuto ad ottobre nel mausoleo di Abdullah Shah Ghazi sempre in Pakistan nella città di Karachi. Inoltre la scoperta il 24 ottobre di una rete che in Yemen pianificava attentati a Aden in occasione dell'imminente Coppa del Golfo di calcio e che ha portato all’arresto di un uomo che stava nascondendo una busta con due chili di esplosivo in un impianto sportivo della città aiutato da altre due persone fuggite ed ancora latitanti. Una serie di eventi che indica un risveglio di Al Qaeda che potrebbe far pensare alla preparazione di un nuovo attacco terroristico su scala globale sviluppato in contemporanea su più obiettivi sparsi nel mondo. La scelta dei terroristi dei voli cargo non è casuale in quanto le attuali misure di sicurezza prevedono controlli al 100% solo dei voli passeggeri con un approccio meno sistematico sulle merci. I passeggeri degli aerei sono controllati con i boby scanner, quando disponibili, e sulla cui incondizionata efficacia si nutrono molti dubbi. Per rendere più efficace il controllo delle merci si potrebbe ipotizzare l’integrazione delle attrezzature di controllo con l’adozione di strumenti simili a quelli utilizzati nella bonifica ambientale di locali, in grado di individuare sorgenti elettroniche “attive”. Dispositivi che opportunamente adeguati potrebbero aiutare a scoprire la presenza di ordigni “live” come gli IED asserviti a congegni elettronici tipo carte telefoniche SIM, a temporizzatori e/o a particolari attuatori che funzionano su input delle variazione dell’assetto dei vettori aerei, terrestri o navali. (velocità del vettore, quota, variazioni di direzione, ecc.). Un’azione preventiva da estendere anche ad altri mezzi di trasporto di massa come treni e navi. Non si può, infatti, escludere un’evoluzione delle azioni terroristiche che potrebbe colpire anche questi mezzi di trasporto per i quali è ancora carente il controllo delle merci e dei passeggeri. Verifiche che devono sempre di più essere affidate a personale addestrato in grado di individuare ed intercettare anche comportamenti anomali o solo sospetti, rivalutando attraverso un’appropriata formazione la professionalità degli addetti alla sicurezza dei porti, degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie.
1 novembre 2010

giovedì 28 ottobre 2010

Gli attentati terroristici "sporchi"

Fra le centinaia di documenti pubblicati recentemente dal sito Wikileaks ce ne sono alcuni che forniscono indicazioni sulla effettiva disponibilità in Iraq di armi chimiche. Consistenza tale da non giustificare forse l’azione bellica della Coalizione anglo - americana e la successiva invasione dell’Iraq, ma che conferma che il regime iracheno era riuscito a nascondere molto materiale alle varie ispezioni delle Nazioni Unite. L'Iraq aveva cominciato a costruire armi chimiche ben prima dell'operazione Desert Storm e negli anni 70-’80 le aveva utilizzate nella guerra contro l'Iran e contro la popolazione curda. Durante la prima Guerra del Golfo si manifestò la minaccia reale che l’Iraq potesse utilizzare missili a caricamento chimico per colpire Israele. Solo il timore di pesanti ritorsioni del mondo occidentale consigliò a Saddam di recedere da questo proposito. Chi scrive nel 1991 constatò sul campo che il 5% del munizionamento di bordo della maggior parte dei carri da combattimento iracheni e dei semplici veicoli blindati adibiti al trasporto truppa, era a “caricamento speciale”. Nello stesso periodo le Nazioni Unite istituirono una speciale commissione (UNSCOM) che fu inviata in Iraq per individuare, distruggere, rimuovere o rendere innocue "tutte le armi chimiche e biologiche, le scorte di agenti chimici e biologici, i sottosistemi e relativi componenti di armi non convenzionali e la strumentazione necessaria alla ricerca e produzione nello specifico settore. Nel dicembre 1998, UNSCOM lasciò l'Iraq dopo aver verificato l’avvenuta distruzione del potenziale bellico iracheno a caricamento chimico che era stato rinvenuto durante l’attività ispettiva. Un elenco riportava che erano state alienate circa 88.000 munizioni chimiche, oltre 600 tonnellate di agenti chimici, 4.000 tonnellate di sostanze base, “precursori” di agenti chimici e circa 980 parti di attrezzature per la produzione e 300 attrezzature utili per le analisi di laboratorio. Nello stesso documento era riportato anche che l’Iraq aveva prodotto circa 250 tonnellate di Tabun e 812 tonnellate di Sarin, gas nervini ad elevatissima letalità, con cui aveva caricato negli anni le testate di razzi contro carro modello RPG-7, granate da mortaio da 82 e 120 millimetri, bombe di aereo da 250 e 500 libbre, granate di artiglieria da 155 mm. e una trentina di testate speciali del missile di produzione nazionale di Al-Hussein (una variante dello SCUD). Nessun cenno di UNSCOM se anche questo ultimo materiale fosse stato rinvenuto e distrutto. E’ molto probabile, quindi, che una parte del potenziale iracheno NBC (Nucleare, Biologico, Chimico) sia andato disperso nel deserto durante la prima Guerra del Golfo o sia rimasto nascosto nei depositi segreti mai scoperti né dai funzionari dell’ONU né dall’intelligence occidentale. Un’ipotesi confermata almeno in parte da quello che è stato trovato dopo l’invasione dell’Iraq del 2003. Documenti ufficiali USA riferiscono della scoperta di 500 proiettili a caricamento chimico e di una vasta tipologia - seppure in modeste quantità - di altri aggressivi chimici trovati in varie parti del Paese e addirittura acquistati nei mercati clandestini di Bagdad e Bassora. Inoltre, da quanto riportato in un file pubblicato da Wikileaks e datato 26 novem¬bre 2010 risulta che nella zona di Falluja roccaforte dei ribelli iracheni siano stati localizzati laboratori artigianali per la realizzazione di aggressivi chimici. Dati oggettivi che confermano che Saddam disponeva di aggressivi chimici, in particolare iprite e gas nervini e di specialisti in grado di gestire ed utilizzarli. Materiale che potrebbe essere stato abbandonato dall’esercito iracheno in fuga insieme alle tonnellate di munizionamento attivo disperso nel deserto o ancora conservato nei depositi militari. Scorte enormi a disposizione del mercato clandestino e del terrorismo, parte delle quali già utilizzate in occasione di importanti attentati avvenuti in Iraq ed anche in Afghanistan. L’esplosivo convenzionale insieme alle sostanze chimiche tossiche consentirebbe di realizzare “IED sporchi” con grave pericolo per le comunità locali ed internazionali. Una minaccia reale che non può essere sottaciuta e che dovrebbe indurre ad un attento monitoraggio della situazione che in questo momento caratterizza le aree del Centro Asia dove maggiore è la tensione politica e militare. Ne consegue che dovrebbe essere avviata un’attenta acquisizione di informazioni con un’azione di “intelligence mirata” sviluppata anche attraverso il costante monitoraggio della rete telematica per sviluppare analisi mirate in particolare dei flussi finanziari che possono essere collegati al commercio delle armi, della droga proveniente dall’Afghansitan ed ai flussi dell’emigrazione clandestina i cui “costi” sicuramente non possono essere sostenuti da chi fugge da realtà sociali che garantiscono un reddito procapite di 2 dollari americani al giorno. E’ più probabile, invece, che i costi dei traghettamenti siano sostenuti da organizzazioni eversive in cambio della disponibilità dei clandestini di entrare a far parte di un network di “cellule dormienti” legato alla malavita della “Nazione Ospite” retribuita con forniture di droga ed armi per assicurare il necessario supporto logistico. Un’attenzione investigativa che dovrebbe rappresentare la routine quotidiana per tutte le Forze di Polizia e degli apparati di sicurezza privati di uno Stato e che proprio oggi ha evidenziato la sua cui efficacia. A Washington un cittadino americano di ori¬gini pakistane è stato arrestato mentre stava preparando un attentato alla metropolitana. L’uomo aveva attirato l’attenzione delle forze dell’ordine per avere cercato di pro¬curarsi “materiali sospetti”.

venerdì 15 ottobre 2010

Cautela nel formulare ipotesi di Exit Strategy dall'Afghanistan

Dopo la recrudescenza degli attacchi terroristici in Afghansitan rappresentanti dei Governi della Coalizione NATO si affannano a parlare di ritiro, di ipotizzare date e forme di “possibili exit strategy”, preannunciando nel contempo ulteriore impegno nel migliorare lo strumento militare ed incrementare la presenza di esperti specializzati in particolari attività. L’opportunità che questa sia la strada migliore per dissuadere i Talebani ed Al Qaeda dalla loro azione eversiva, è alquanto opinabile, se non altro per aspetti di sicurezza e riservatezza che non possono essere sottovalutati. Il network comunicativo ed informativo che Al Qaeda ed i suoi affiliati ormai gestiscono sul piano globale è tale da permettere ai Talebani di disporre in tempo reale di elementi di analisi essenziali solo leggendo le notizie di stampa. Costoro conoscono benissimo quali procedure, tempi ed impegni logistici deve affrontare un Contingente militare che decide di ripiegare dopo una permanenza di 10 anni Teatro. Ne consegue che conoscere prima anche solo ipotesi di tempi facilita l’organizzazione di una resistenza mirata, da sviluppare all’ultimo momento contro chi ripiega, con tattiche di guerriglia in cui gli afgani sono espertissimi e già abbondantemente sperimentate dai mujaheddin dal settembre 1988 al marzo 1989 durante l’uscita dal paese delle Truppe sovietiche. Peraltro, la rete viaria e la logistica dell’ Afghanistan non sono tali da permettere a chi deve andarsene di poter scegliere alternative di ripiegamento diverse in “modo da confondere” l’avversario che, invece, se informato in tempo può scegliere e predisporre per tempo zone di agguato. Anche la popolazione locale potrebbe essere preoccupata da queste notizie che rilanciano con un approccio molto ottimistico la futura autonomia afgana, ed essere invogliata a riaprire contatti e collusioni con i Talebani e con i Signori della Guerra locali, con i quali saranno poi costretti a confrontarsi. Inoltre, ormai da tempo uno dei problemi fondamentali dell’Afghansitan è stato completamente dimenticato pur rappresentando una valenza importantissima per la stabilità del paese e per l’intera comunità internazionale. E’ stato dimenticato il narcotraffico che, invece, è cresce, alimentato dalla produzione del papavero da oppio e dalla sua trasformazione in eroina. Un potenziale economico che dagli anni ’70 ha consentito alle forze eversive di disporre delle necessarie risorse economiche per garantirsi il successo. L’argomento “droga” è oggi dimenticato, non esiste. Ampio spazio, invece, ad altri problemi forse di maggiore impatto comunicativo ma che, seppure importanti, potrebbero trovare soluzione automatica affrontando in maniera incisiva il tema della droga. I Talebani, minacciano il mondo occidentale con gli attentati dinamitardi me nello stesso tempo indeboliscono le strutture e le nuove generazioni attraverso la vendita della droga. La medesima cosa fanno in Afghansitan con la diffusione gratuita fra la popolazione giovanile di sostanze stupefacenti come si evidenzia dai centinaia di ricoveri giornalieri di adulti e giovani tossicodipendenti. Peraltro, la droga ha sempre rappresentato una merce di scambio per eccellenza per alimentare instabilità locali e golpe in tanti paesi, garantendo, peraltro, connivenza e complicità con le organizzazioni criminali locali, essenziali per assicurare la protezione delle cellule eversive sparse nel mondo. In Afghanistan molti degli attentati che avvengono e probabilmente anche l’ultimo che ha coinvolto i militari italiani, sono resi possibili perché la popolazione locale protegge gli insorti, in particolare quelle componenti coinvolte con il male affare dei Signori della Guerra e che in quelle realtà sono in grado offuscare le più sofisticare attività di intelligence. Una complicità garantita da merce di scambio preziosa, l’oppio dei papaveri, così come è avvenuto subito prima dell’attentato dell’11 settembre, quando i Talebani hanno fatto distruggere tutte le coltivazioni afgane e hanno regalato il contenuto dei magazzini alle Agenzie Tribali pakistane a ridosso del confine afgano destinate a garantire la protezione della nomenclatura di Al Qaeda. Maggiore cautela quindi nel divulgare intenzioni e propositi che possono dare indicazioni sulle future pianificazioni militari ed operative in Afghanistan e nello stesso tempo affrontare il problema del commercio della droga facendo riferimento ad “una intelligence incrociata”, soprattutto fuori del territorio afgano, per individuare ogni possibile collusione delle organizzazioni criminali interessate allo specifico commercio come la mafia. In questo scenario continuare a portare avanti una propaganda politica di facciata, anche se indotta da eventi tragici come la morte di militari o di civili, che dichiara il ritiro delle Truppe in tempi brevi e si impegna ad un impegno sul terreno sempre più pacifico per affrontare un avversario che non conosce questa parola, è una esemplificazione non condivisibile. Forse dichiarazioni di questo tipo possono acquisire consenso, ma a svantaggio di coloro che in uniforme operano in quei deserti e della stessa sicurezza internazionale.
15 ottobre 2010

mercoledì 13 ottobre 2010

Mahmud Ahmadinejad oggi in Libano

Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad e' arrivato questa mattina a Beirut per una visita ufficiale che durerà tre giorni (ANSAmed). Sono stati programmati incontri con le massime autorità libanesi e con quelle degli Hezbollah, compreso il leader Sayed Hassan Nasrallah. E’ previsto che il Presidente iraniano si recherà anche nel Sud del Paese, nei pressi della linea blu di demarcazione con Israele. Un evento sicuramente programmato e che coincide con l’apertura del Presidente afgano Karzai verso i leader moderati talebani, con i quali risulta che proprio in questi giorni abbia aperto i primi contatti per un coinvolgimento al tavolo della pace delle forze eversive afgane che hanno intensificato i loro attacchi contro le Truppe NATO per guadagnare visibilità. Azioni terroristiche combinate con veri e propri atti tattici realizzate anche impiegando IED potenti e sofisticati, sicuramente non autocostruiti. Giunge anche notizia che la significativa componente sunnita libanese radicata a nord del Paese stia manifestando contro la visita del Presidente iraniano e la tensione sale in particolare a Tripoli, principale porto libanese a nord e roccaforte dell’Islam sunnita integralista. Azioni che, come riportato dall’Agenzia libanese NNA, sono dirette in particolare contro i sostenitori del partito Al Mustaqbal molto vicino all’Arabia Saudita ed hanno come protagonisti i loro rivali alawiti, appoggiati invece dalla vicina Siria alleata dell’Iran. Contemporaneamente anche in Iraq riemergono diverse tensioni fra la componente sunnita e quella sciita, con disordini ed attentati nella zona centrale del Paese. La visita di Ahmadinejad potrebbe avere una significativa valenza se fosse stata voluta per rinsaldare le promesse di amicizia fatte all’inizio dell’anno dal Presidente Karzai alla Siria ed all’Iran e, quindi, influire positivamente sul processo di pace in Afghanistan coinvolgendo questi due importanti Paesi islamici per un confronto costruttivo con la nomenclatura talebana più distante dall’Arabia Saudita. Possibili ingerenze che però non sono condivise da una parte di Al Qaeda che attraverso una propria formazione armata sunnita ha lanciato una serie di minacce in vista dell'arrivo in Libano del presidente iraniano. Secondo quanto riferisce la tv araba 'al-Jazeera', il gruppo in questione si fa chiamare 'Brigate Abdullah Azzam', una sigla poco nota nel 'Paese dei cedri'. (Adnkronos/Aki). Se quanto accadrà in questi tre giorni andrà, invece, a complicare l’appena iniziato ed ancora vacillante processo di pace fra palestinesi ed israeliani, scuramente si avranno ricadute negative in tutta l’area geografica, in particolare in Afghansitan ed Iraq ed a vantaggio del ruolo che il Pakistan potrebbe avere nell’intera regione con Islamabad peraltro preoccupata dal progressivo aumento dell’ingerenza indiana nella Repubblica Islamica afgana.
13 ottobre 2010

domenica 10 ottobre 2010

Dieci anni di guerra ed ancora caduti in Afghanistan

9 ottobre 2010, altri quattro militari italiani uccisi in Afghanistan per un attacco combinato dei Talebani. Ormai non si può più parlare di “esplosione” di uno IED posizionato nel terreno con uno scopo terroristico finalizzato a se stesso, ma di una vera e propria azione tattica coordinata in cui l’esplosione dell’Ordigno rappresenta uno degli elementi dell’azione, ma non il solo. Eventi che per ottenere successo devono fare riferimento ad un affidabile controllo del territorio dei Talebani, che nella realtà afgana può essere garantito solo da un’affidabile connivenza con gli abitanti del posto. Le modalità dell’attacco di ieri confermano queste ipotesi. Il tutto è avvenuto dopo poche ore dopo dal primo passaggio dell’autocolonna logistica diretta a nord. Non sufficienti ad organizzare per il giorno successivo un agguato del genere se gli insorti non hanno potuto fare riferimento ad una logistica ed a un supporto locale. Lo IED è saltato al passaggio del mezzo militare inserito in una colonna di altri 70 autocarri. Sicuramente è stato attivato a “ragion veduta” e non per il casuale impatto su un accenditore a pressione, magari ricavato da una mina anti carro posizionata in precedenza e collegata alla carica principale qualche giorno prima, con il rischio che esplodesse al passaggio di un bus locale adibito al trasporto di civili. Veicolo che, a pieno carico, esercita una pressione sul suolo sicuramente superiore a quella di un Lince seppure in assetto operativo. Peraltro, i soldati sono caduti nell’imboscata, mentre tornavano da una missione nella valle del Gulistan, nella provincia sud-occidentale di Farah, dopo essere stati “messi alla prova” il giorno prima da forze di insorti. Quanto avvenuto segue e si sovrappone ad un’altra azione quasi contemporanea, avvenuta nelle Aree Tribali pakistane contro una colonna logistica della NATO, sincronismo che sicuramente non fornisce spunti rassicuranti sulla stabilizzazione definitiva dell’Afghansitan, anche rallentata dalla preoccupazione di una componente dell’Intelligence del Pakistan (ISI) che teme un avvicinamento di Kabul all’India con un conseguente peggioramento della compromessa situazione nel Kashmir. Motivi molto simili a quelli che negli anni ‘90 spinsero l’ISI ad aiutare i Talebani nella loro ascesa iniziale al potere. E’ anche certo che Islamabad non può improvvisamente cancellare la realtà delle Aree Tribali e dei Signori della Guerra che le gestiscono e non può abbandonare i suoi alleati storici, tra cui i Talebani pakistani e la rete di Haqqani. "I Haqqani rappresentano un elemento importante del pashtun", ha detto Shuja Nawaz, direttore del Centro Sud Asia presso il Consiglio Atlantico. "Tribù che vivono a cavallo della frontiera, la cui presenza rinforza il potere del governo pakistano diminuendo la probabilità che gli indiani possano radicarsi a Kabul dopo aver già consolidato il proprio rapporto con l’Alleanza del Nord, stabile ormai dal 2001”. E’ quasi certo che Sirajuddin Haqqani gestisce gran parte della guerriglia attiva in tutto l'Afghanistan orientale. Insurrezione, autobombe, sequestri ed uccisioni di cooperanti occidentali o personale locale a loro vicino, compresi gli attacchi spettacolari ad installazioni militari americane. Sirajuddin ha probabilmente stretto alleanze con Al Qaeda e con i leader del ramo dei talebani afgani che fanno riferimento al mullah Muhammad Omar. La risposta a queste domande potrebbe accelerare il processo di pace e di riconciliazione dell’Afghanistan di oggi. Qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione, ma il cammino è ancora lungo ed è prematuro dichiarare che gli afgani potranno gestire da soli i loro problemi a partire dalla fine del 2011. Poco si ottiene nel breve tempo solo attraverso l’incremento della popolazione scolastica afgana di cui il 35 per cento bambine e l’inserimento di donne nell'Assemblea Nazionale. La situazione è destinata, a rimanere un vacillante “castello di carte” se l’emancipazione non raggiungerà le campagne ancora feudi dei Signori della Guerra e dei commercianti di droga, convincendo i contadini che forse coltivare ortaggi è più conveniente che piantare papavero da oppio. Un target che può essere raggiunto solo attraverso fatti concreti che convincano la gente ad abbandonare gli insorti talebani per favorire la crescita globale del Paese e non limitarsi solo a garantire flussi ininterrotti di danaro, peraltro gestiti per lo più da organizzazioni internazionali destinate ad essere fagocitate da chi detiene il potere tribale. E’, piuttosto, auspicabile assicurare alla popolazione agricola quanto necessario per uscire dalle condizioni medioevali in cui ancora vive, assicurando loro vie di comunicazione per favorire un continuo interscambio culturale e conoscitivo che prevarichi le realtà dei clan, portando nelle zone rurali energia elettrica e quanto altro indispensabile per non circoscrivere la proiezione dell’Afghanistan verso l’era moderna limitatamente a Kabul, Herat e Kandhar.
Il generale David Petraeus, dopo l’attentato al convoglio italiano, ha elogiato “il coraggio e l’altruismo” dimostrato dai soldati italiani essenziale per assicurare successo all’impegno internazionale per sconfiggere una rivolta che vuole privare il popolo afgano della sicurezza e della stabilità, facendo diventare questo paese ancora una volta un santuario per i terroristi”. Un successo che non può essere disatteso se non si vuole rischiare di compromettere il sacrificio degli italiani e di tanti altri soldati del Contingente NATO caduti negli ultimi dieci anni, con un danno irreversibile per la sicurezza internazionale.
10 ottobre 2010


lunedì 4 ottobre 2010

L’Europa a rischio di attentati

L’intelligence statunitense, forse con un approccio poco attento, ha lanciato pubblicamente l’allarme di rischio attentato in Europa risvegliando il sopito interesse dell’informazione internazionale. Immediate le ipotesi più disparate sui possibili target a rischio, con la formulazione di vere e proprie graduatorie, quasi a gestire una “lotteria” degli obiettivi di possibile interesse del terrorismo internazionale. La Torre Eiffel piuttosto che Notre Dame. La porta di Brandenburgo invece della metropolitana di Berlino e così via. Valutazioni tutte riduttive che mal si conciliano con una minaccia globale e con l’evoluzione di Al Qaeda nel gestire i nuovi possibili attacchi. Una trasformazione e maturazione dell’organizzazione terroristica la cui prova generale fu fatta a Kabul in occasione dell’attentato in cui morì il funzionario dell’intelligence italiana e che ha confermato la sua concretezza con gli eventi di Mubai, quando Al Qaeda ha dimostrato di essere in grado di gestire un evento terroristico attraverso atti coordinati e tatticamente complessi. Un’evoluzione che dovrebbe consigliare di non escludere qualsiasi ipotesi o obiettivo, ma sviluppare analisi incrociate e globali per cercare di intercettare ogni possibile disegno terroristico. Se è acclarato che l’attenzione di Bin Laden è sull’Europa, tutte le Nazioni europee devono essere considerate a rischio, forse anche allo stesso livello di allarme. Non può essere determinante o discriminante l’aver catturato simpatizzanti di Al Qaeda naturalizzati tedeschi piuttosto che britannici o aver intercettato un cittadino francese invece che uno spagnolo o italiano. Chiunque, infatti, in possesso di passaporto europeo può muoversi liberamente nell’Area Schengel senza limitazione alcuna e portarsi dove è stato deciso di intervenire senza destare sospetto, ma solo attivando i link con le cellule dormienti sparse su tutto il Vecchio Continente e nel resto del mondo. Personale che dopo periodi trascorsi nei campi di addestramento del Waziristan pakistano sono rientrati in patria e sono pronti a rispondere alla “chiamata” del leader massimo, operando secondo le sue indicazioni. Cittadini europei insospettabili come i pakistani / inglesi coinvolti nell’attentato alla metropolitana di Londra o l’egiziano da anni residente in Italia che ha fallito l’attentato alla Caserma S. Barbara di Milano. Gruppi di fuoco in letargo ma pronti ad interpretare i messaggi di Bin Laden applicando un codice noto solo ad Al Qaeda. Bin Laden in questi giorni ha parlato in due messaggi proponendosi come “il buon samaritano” piuttosto che come terrorista sanguinario. Un passaggio dovrebbe lasciar pensare. Lo sceicco saudita fa riferimento alle alluvioni in Pakistan e afferma che "il numero delle vittime provocate dai cambiamenti climatici nel mondo musulmano è grandissimo, più pesante di quello delle vittime di guerra. Una catastrofe enorme e difficile da descrivere che esige un'azione rapida e seria da parte di uomini coraggiosi per portare soccorso ai fratelli musulmani del Pakistan …….". Lo scopo dichiarato è quello di aiutare i fratelli pakistani, ma il riferimento all’azione di uomini coraggiosi generalizza il concetto ed invita a compiere qualcosa di rapido e concreto. Bin Laden ha parlato al mondo mussulmano ed occidentale non escludendo nessuno, particolare che impone un’attenta valutazione del rischio sviluppata su un piano globale senza esclusioni aprioristiche che, invece, potrebbero facilitare il compito dell’avversario che ha deciso di attaccare e quindi di per sé favorito nella scelta dei tempi, delle modalità e dell’obiettivo.
4 ottobre 2010

sabato 2 ottobre 2010

Quando le parole possono diventare un’arma impropria

Matteo scrive nel Vangelo (mt 13, 24-30) “……mentre tutti dormivano venne il nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania…….”. Per non essere sorpresi e perché la zizzania non soffochi il grano è necessario essere attenti per isolare immediatamente chi semina male attraverso il linguaggio utilizzato per innescare convinzioni esasperate. Evidenze che oggi portano a considerare la parola “arabo” come sinonimo di “terrorista” e ad accettare uccisioni e violenze, in nome della “lotta del bene contro il male”. Attraverso il linguaggio si orienta la folla, si costruisce il consenso o il dissenso e si prepara il terreno perché alle parole seguano i fatti. Una manciata di parole, in particolare se suggestive, sono sufficienti per indurre qualcuno ad agire anche autonomamente per compiere gesti eclatanti anche non leciti. Nell’era della globalizzazione e della comunicazione di massa il linguaggio può veicolare la folla ad accettare e fare proprie forme estreme di manifestazione del pensiero attraverso atti contro la società ed i singoli. Conseguenze sicure quando le parole sono proferite da “capi manipolo” che approfittando di situazioni di disagio come può essere un’adunanza di lavoratori a rischio di licenziamento, in mancanza di altre risorse dialettiche usano parole estreme per contestare gli avversari politici che vengono proposti alla folla esasperata come “i Satana colpevoli di tutti i mali”. A questo punto il linguaggio diventa una vera e propria “arma di distruzione di massa” e può innescare le reazioni più disparate nel momento che è raccolto da singoli o collettività di per sé influenzabili. Dopo i fatti dell’11 settembre è generalizzato il parlare di rischio di azioni terroristiche di Al Qaeda che attraverso i proclami dei suoi Leader o degli Iman durante la preghiera del venerdì possono provocare l’azione di “schegge impazzite” che autonomamente inventano e compiono un’azione terroristica. Un rischio reale che non è, però, patrimonio unico del terrorismo islamico ma contraddistingue tutte le società che per motivi contingenti vivono momenti di disagio collettivo, particolare troppo spesso dimenticato da chi, invece, cerca il consenso seminando zizzania. Questo in Italia è ormai ricorrente e sta avendo i suoi effetti per fortuna ancora isolati. Tartaglia, quando ha lanciato il modellino del Duomo di Milano contro il Presidente del Consiglio, era reduce da un ascolto quasi ossessivo di critiche contro il Premier non sempre solo ed esclusivamente politiche. Il Senatore Schifani è stato letteralmente assalito, per fortuna solo verbalmente, da una folla che non accettava il confronto, ma voleva imporre le sue idee. Il Senatore Dell’Utri zittito da un gruppo che era reduce da un’altra piazza dove qualcuno aveva pronunciato l’oracolo “il mafioso deve essere zittito in tutte le piazze”. Il Segretario della Cisl Raffaele Bonanni è stato colpito con “un’arma impropria”, un fumogeno lanciato da una manifestante “figlia della disperazione”. Ora il mancato attentato a Maurizio Belpietro avvenuto subito dopo un momento politico in cui tutti i cittadini hanno ascoltato in diretta televisiva anche parole non concilianti ed a ridosso della pubblicazione del video rubato alla privacy di Berlusconi e pubblicato sul portale di Repubblica. A questo punto sono condivisibili le ipotesi che fanno presagire il ritorno degli anni di piombo, peraltro in un momento di esasperazione sociale molto simile a quello degli anni ’70. Se si è consapevoli di questo e si ha un minimo di coscienza istituzionale e dello Stato, è necessario riappropriarsi di un linguaggio consono facendone buono uso per avanzare ipotesi, criticare, dubitare e portare avanti le proprie idee, ma evitando i toni esasperati per escludere il rischio di futuri scenari di contrapposizione violenta.
2 ottobre 2010

martedì 28 settembre 2010

Paramilitari in Afghanistan

Il 22 settembre il quotidiano USA Washington Post ha confermato la notizia sulla presenza di paramilitari impiegati in Afghansitan nel contrasto alle forze talebane. Truppe che dovrebbero essere acquartierate in un fortino di mattoni di fango “Forte Alamo”, in territorio afgano a circa 7 chilometri dal confine con il Pakistan. Ufficialmente la base è chiamata “Firebase Lilley” ed è considerata un punto strategico per l’organizzazione ed il coordinamento della lotta segreta contro Al - Qaeda. La base è utilizzata come un centro nodale per la formazione dei circa 3000 paramilitari ed il loro impiego sul terreno, suddivisi in squadre antiterrorismo nelle varie Province afgane. La struttura operativa è formata sul modello delle forze speciali Usa. E’ chiamata “Counterterrorist Pursuit Team (CPT)” ed ha il compito principale di infiltrarsi nei territori controllati da talebani e da Al Qaeda per acquisire informazioni ed individuare possibili obiettivi. I CPT sono utilizzati per la sorveglianza del territorio, in raid ed in operazioni di combattimento e rappresentano un significativo elemento nella lotta contro i Talebani insediati in Pakistan. L'esistenza di queste squadre è confermata dai documenti classificati inseriti recentemente nel sito web WikiLeaks sulla guerriglia afgana dal 2004 alla fine del 2009 che riportano di attività svolte da paramilitari in particolare lungo il confine del Pakistan, con lo scopo prioritario di individuare i leaders talebani. Oltre a Firebase Lilley dovrebbero essere operative basi anche nella Provincia di Patika, Khost ed a Kandahar. La presenza di queste strutture ha consentito di coprire nel tempo i vuoti di informazione ricorrenti fino a quando le attività di intelligence nelle aree tribali sono state esclusivo appannaggio dell’ISI pakistano che ha gestito le notizie con valutazioni spesso particolari e discutibili. Gli americani e la NATO potendo fare riferimento solo a questo flusso informativo il più delle volte sono arrivati in ritardo per contrastare la possibile presenza di Al Qaeda o di eventuali forze talebane a ridosso del confine con l’Afghanistan, in particolare nella North West Frontiere pakistana. Una carenza di informazioni che spesso ha anche vanificato la possibilità di catturare lo stesso Bin Laden. L’operatività dei CPT è cresciuta nel tempo con risultati affidabili che ormai consentono di disporre sul terreno di un network in grado di acquisire informazioni e, se del caso, di guidare da terra ed in tempo reale blitz con l’impiego di forze terrestri o anche solo di Drone. Lo confermano i risultati conseguiti in recenti attacchi della NATO effettuati con successo nelle Aree Tribali pakistane anche se hanno provocato la reazione di Islamabad. Due elicotteri Apache hanno colpito una base talebana in territorio pakistano, uccidendo oltre cinquanta guerriglieri della cosiddetta 'Rete Haqqani', vicina ad Al Qaeda, senza provocare, come in passato, danni collaterali. In un’altra azione condotta con Drone nella provincia orientale afgana di Khost sono morti 49 guerriglieri. Si è trattato del 19esimo raid compiuto negli ultimi 24 giorni dagli aerei senza pilota Usa sulle aree tribali del Pakistan, storiche roccaforti di Al Qaeda e dei Talebani ed anche in questo caso i bombardamenti non hanno provocato vittime fra la popolazione civile. Successi che indicano una maggiore e più affidabile attività di intelligence sul territorio ottenuta proprio con l’impiego dei CPT, strumenti che, però, devono essere gestiti con attenzione per non correre il rischio che possa essere prevaricata “l’etica di guerra” a danno della popolazione civile e per non pregiudicare le già pessime relazioni tra Pakistan e Afghanistan ed i rapporti del Pakistan con gli USA.
28 settembre 2010

lunedì 20 settembre 2010

Afghanistan, otto bambini massacrati dall’esplosione di un razzo contro carro

Una domenica assurda nella provincia settentrionale afgana, otto bambini sono stati uccisi dall’esplosione accidentale di un razzo RPG7 raccolto integro sul terreno perchè non esploso. Sicuramente un’arma utilizzata da Talebani considerandone la tipologia assai diffusa nel Paese. Habibullah Mohtashim, capo del distretto dove è avvenuto l’evento ha riferito di “sette dei bambini sono morti sul colpo e un altro è deceduto successivamente durante il trasporto in Ospedale” (Ansa/Reuters). L’episodio dimostra che in Afghanistan anche settori essenziali come quello della bonifica del territorio e della sensibilizzazione della popolazione a convivere e difendersi da ordigni bellici non esplosi, non occupano più l’interesse di chi dal 1989 si è impegnato nel Paese per affrontare lo specifico problema. Un evento tragico su cui non si deve speculare, ma che non può essere sottaciuto in particolare in previsione di “lasciare tutto in mano agli afgani dal prossimo 2011”. L’episodio ci riporta al passato, quando fatti simili rientravano nella ineluttabilità del quotidiano e non meravigliava più di tanto. Un concetto fatalistico che, oggi, non può più essere accettato in particolare considerando che proprio in Afghanistan è iniziata nel 1989 la prima operazione internazionale per affrontare il problema della bonifica dei territori post bellici inquinati da mine ed ordigni bellici inesplosi pronti ad uccidere (ERW - Explosive Remants of the War). A Kabul negli anni ’90 fu fondata la prima struttura di Coordinamento di queste attività specifiche gestita dalle Nazioni Unite e da cui sarebbe nata l’Agenzia ONU UNMAS (UN Mine Action Service). In quegli anni furono addestrati e coordinati anche da esperti militari italiani migliaia di afgani specialisti nelle attività specifiche che nel tempo hanno dato vita a locali Organizzazioni Non Governative locali ed imprese commerciali strutturate per occuparsi di bonifica del territorio da ERW. In sovrapposizione programmi di informazione capillare a favore della popolazione civile, in particolare donne e bambini, per aiutarli a convivere con il pericolo specifico senza incorrere in incidenti (Mine Risk Education e Mine Awarennes). A partire dal gennaio 2002, dopo la fine della guerra, l’attività, in parte contrastata durante il periodo dei Talebani, è ripartita su larga scala con la partecipazione di decine di esperti internazionali accompagnati da decine di milioni di dollari donati dalla Unione Europea, dalle Nazioni Unite e direttamente dai singoli Stati fra cui l’Italia. Danaro impegnato per riorganizzare la struttura di bonifica, per attivare a macchia di leopardo sul territorio veri e propri centri di formazione / informazione della popolazione in particolare scolare e rurale sui comportamenti da tenere in caso di presenza di ERW. A partire da marzo del 2002 centinaia di migliaia di cartelli con fotografie, messaggi di avvertimento, schemi di comportamento redatti nelle due lingue principali locali ed in inglese, sono stati posti nei villaggi, lungo le strade, davanti alle scuole portando in 6 mesi ad abbattere in maniera significativa il numero di incidenti. Per garantire al sistema affidabilità in questi anni sono stati rivitalizzate ONG locali come Omar, Halo Trust, ATC, per citare le più importanti, con lo scopo specifico di bonificare ed accompagnare e precedere le attività operative con quelle di sensibilizzazione a livello scolastico e villaggio per villaggio. Ieri otto ragazzini hanno raccolto un razzo contro carro. Lo hanno probabilmente confuso con un bastone perché a loro mancava l’informazione che qualcuno doveva fornire. L’arma è esplosa e li ha uccisi. Sicuramente qualcosa in precedenza è stato omesso o sottovalutato. Un gap inaccettabile che deve essere immediatamente colmato prima che altri eventi del genere si ripetano. Innanzi tutto controllare se l’utilizzo delle risorse finanziarie disponibili è gestito con attenzione ed oculatezza per raggiungere gli obiettivi prefissati e se l’impegno e la preparazione di coloro cui sono affidate le risorse è adeguata. Investigazioni cui dovrebbero partecipare anche gli esperti militari nel settore della bonifica del territorio, punte di eccellenza di tutti i Contingenti militari che fanno parte della Coalizione Nato. Iniziative destinate a salvare delle vite e per verificare, “prima di lasciar l’Afghanistan agli afgani”, se la corruzione sta insinuandosi anche in questo particolare settore che per molti ha sempre rappresentato un business di tutto rispetto.
20 settembre 2010

domenica 19 settembre 2010

Osama Bin Laden, rappresenta ancora una minaccia ?

Dopo nove anni dall’attentato alle Torri Gemelle del 11 settembre 2001 qualcosa anche di inedito aiuta a comprendere come mai Osama Bin Laden, se vivo, è ancora latitante. Quasi nove anni fa, Bin Laden ed altri membri della leadership di Al Qaeda, in previsione di quanto sarebbe accaduto dopo l'attentato alle Tori Gemelle, abbandonarono i loro rifugi nelle grotte delle montagne di Tora Bora, raggiungendo le Aree Tribali pakistane a ridosso del confine con l’Afghanistan. In questi anni la pressione bellica esercitata sull’Afghanistan dalla coalizione anglo americana negli anni immediatamente prima dell’attacco all’IRAQ e poi dal Contingente multinazionale della NATO ha imposto a Bin Laden prudenza nel riorganizzare il network terroristico. Non gli ha impedito, però, di incontrare nel febbraio del 2003 in Pakistan Khalid Sheikh Mohammed ideatore e coordinatore dell’attentato negli USA, poco prima dell’inizio degli attacchi a Bagdad ed immediatamente prima che costui fosse catturato. E’ indubbio, quindi, che nonostante una situazione di assoluta non sicurezza Osama abbia sempre potuto fare sempre riferimento a coperture che gli hanno consentito di muoversi ed operare sul territorio. Per cercare di comprendere l’origine di questo network di protezione e come in qualche modo sia ancora efficace è necessario approfondire le origini del terrorista e quanto sia stata favorita nel tempo la sua affermazione sullo scenario internazionale. Bin Laden negli anni ’80 - ’90 ha avuto un rapporto intenso e consolidato con la CIA che lo ha coinvolto nella resistenza afgana contro l’Unione Sovietica e, successivamente, perché impegnato ad appoggiare gli Stati Uniti nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Un rapporto che varie fonti riportano consolidato per anni, fin dal momento che la rete di Al Qaeda fu creata come una struttura per attività di intelligence “in ombra”, finanziata, armata, addestrata e protetta in tutto il mondo da importanti Agenzie fra cui quelle degli Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, e Pakistan. Ingenti flussi di danaro avvenuti in quegli anni fra banche arabe ed europee su conti intestati a Bin Laden ed alla sua famiglia confermano queste ipotesi. Tra il 1990 ed il 1997 Osama gestiva in Svizzera cospicui conti correnti bancari insieme ad un suo fratellastro Yeslam bin Laden. Nel 2000 aprì un conto presso la sede della Deutsche Bank di Ginevra intestato a una società denominata Cambridge, una filiale SBG (Saudi Bin Laden Group) dal quale immediatamente dopo trasferito danaro in Pakistan per un controvalore di € 241.000.000 versati su un conto intestato a Osama Bin Laden ed a qualcuno di nazionalità pakistana. Movimenti di denaro che come informa il quotidiano tedesco “Der Spiegel” sono stati assicurati negli anni dalla “élite saudita” e da tutta la monarchia e bancari di primo piano del Medio Oriente. Molti altri gli intrecci fra la famiglia e l’Occidente. Dopo la morte del padre di Osama. Salem bin Laden, fratello di Osama, divenuto capo della società, Arabia Binladen Group (SBG) stringe legami consolidati (come riferisce sempre Der Spiegel) con l'elite politica americana e fonti dei servizi segreti francesi, aiuta l'amministrazione Reagan a canalizzazione 34 milioni dollari ai ribelli di destra che operano in Nicaragua. Inoltre, nel 1990, quando re Fahd dell'Arabia Saudita in occasione della Prima Guerra del Golfo concede agli americani basi militari in Arabia Saudita, la SBG provvede alla costruzione. Nello stesso periodo Osama lascia l’Afghanistan ormai liberato dall’invasore sovietico per andare in Sudan ed organizzare al meglio la sua rete terroristica facendo leva sui somali che si opponevano a Mogadiscio al Contingente internazionale di pace dell’ONU. Solo nel 1994 per un’intensa pressione pubblica, l'Arabia Saudita e la famiglia Bin Laden dichiararono pubblicamente di aver rotto qualsiasi legame con Osama. Un’improvvisa e “storica” espulsione della pecora nera della famiglia saudita, forse per gettare fumo negli occhi del mondo, come la stessa sorella di Osama ha affermato, ”Io non credo assolutamente che i Bin Laden abbiano rinnegato Osama. In questa famiglia, un fratello è sempre un fratello, non importa quello che ha fatto”. Osama, tornato in Afghanistan nella metà degli anni 1990, inizia a collaborare con i talebani pur mantenendo contatti con il principe saudita Turki responsabile dell’intelligence del suo Paese, che avrebbe portato "doni" (decine di camions ed altre attrezzature) per ottenere la garanzia che Al Qaeda non avrebbe mai colpito in Arabia Saudita. Si arriva al 9 gennaio 2001 e nonostante che Osama sia stato “cacciato” dalla sua famiglia, la madre e due fratelli partecipano in Afghansitan al matrimonio di un suo figlio. Il 4 luglio dello stesso anno è quasi certo che Osama si rechi negli Emirati Arabi dal Pakistan per essere ricoverato presso il Reparto di urologia dell’Ospedale Americano in Dubai. Mentre è in ospedale viene visitato da vari membri della sua famiglia e, sembra, anche dal principe Turki al Faisal e dal responsabile della CIA a Dubai. Il 10 Settembre 2001, la notte prima degli attacchi alle Torri Gemelle, Osama Bin Laden tornato in Pakistan, è ricoverato presso l’ospedale militare di Rawalpindi per un trattamento di dialisi renale. Per chi conosce il Pakistan non poteva avvenire che il viaggio a Dubai ed il ricovero a Rawalpindi potessero avvenire senza il coinvolgimento della potente struttura di Intelligence pakistana (Inter Services Intelligence - ISI) impegnata fin dal 1970 attraverso il Club Safari a fornire copertura ed assistenza alle più importanti Agenzie di Intelligence occidentali che operavano in Medio Oriente ed allo stesso Osama. Fondamentale anche l’appoggio locale dei clan residenti nelle Aree Tribali del Pakistan, prima fra tutte la North West Frontier Province, sede peraltro del più importante insediamento dell’ISI ed una delle zone più sicure da cui gestire l’eversione in Afghansitan, prima contro l’invasione sovietica, poi a favore dei Talebani e successivamente per garantire sicurezza alla nomenclatura di Al Qaeda. Alleanze consolidate dalla fine degli anni ’90 attraverso accordi per la fabbricazione dell’eroina ricavata dal papavero da oppio afgano e dal commercio della droga insieme a quello delle armi dirette alla malavita occidentale fabbricate in Aree Tribali limitrofe come Darra. Alleanze che nel tempo hanno permesso a Bin Laden di potersi stabilire in zone rurali della più importante Area Tribale del Pakistan e di spostarsi continuamente costringendo l’Intelligence occidentale e giocare di rimessa. A partire dal 2004, si parla di una ristrutturazione organizzativa di Al Qaeda con un riavvicinamento anche territoriale di Bin Laden al suo Vice Al Zawahiri, sembra oggi ambedue posizionati in aree tribali contermini che consentono loro di comunicare facilmente e senza ricorrere a sistemi tecnici intercettabili dall’avversario. Lo scorso mese di luglio è emerso (sito Wikileaks) che Bin Laden ed il suo staff sono concentrati ad occuparsi a riorganizzare Al Qaeda su un piano globale superando i confini dell’Asia Centrale. Probabilmente con lo scopo di interfacciarsi attraverso il Golfo di Aden, con le cellule in parte già operative nel Corno d’Africa e nelle regioni sub sahariane del Mali e della Mauritania. Sembra, anche, che gli Stati Uniti siano in procinto di catturare Osama, anche se il Direttore della Cia Leon Panetta nel mese di giugno ha dichiarato che si dispongono di ben poche informazioni sui suoi movimenti. Quanto ancora Osama possa rappresentare una minaccia è azzardato quantificarlo. La sua partecipazione diretta alla riorganizzazione di Al Qaeda potrebbe essere priva di fondamento, ma se fossero false le notizie che lo danno per morto o gravemente ammalato e se non sarà fatta chiarezza sui possibili collegamenti ed interessi strategici che ancora potrebbero collegarlo al mondo islamico radicale potrebbe ancora esserci il rischio di un atto terroristico più eclatante rispetto a quello dell’11 settembre 2001, con nuovi obiettivi: il rifornimento delle risorse energetiche necessarie all’Occidente.


19 settembre 2010

giovedì 16 settembre 2010

In Afghansitan i Talebani sono ancora vincenti

In occasione del consueto briefing settimanale il Gen. Petraeus, Comandante del Contingente Multinazionale in Afghanistan, ha dichiarato che durante l’ultima settimana la NATO ha conseguito sostanziali successi per contrastare l’impiego di IED (Improvised Explosive Device) utilizzati dai Talebani per realizzare agguati lungo le strade. Il Generale, inoltre, in un'intervista al Wall Street Journal pubblicata martedì scorso ha affermato che in Afghanistan è diminuito l’impiego di IED, anche e soprattutto per la pressione che stanno esercitando le Special Forces sugli insorti. Le dichiarazioni del Generale contrastano, però, con i dati ufficiali del Pentagono dove fonti informate riferiscono, invece, che a partire dall’inizio del 2010 si è avuto uno strisciante trend positivo a favore dei Talebani, con un incremento di attentati terroristici anche significativi in particolare nel nord dell’Afghanistan. Numeri e percentuali assolutamente coerenti con quanto riporta la “Joint Improvised Explosive Device Defeat Organization” (JIEDDO), struttura operativa americana, creata per affrontare il problema degli IED. JIEDDO informa, infatti, che nei primi otto mesi del 2010 si è avuto un incremento del 40% degli attentati realizzati con IED sistemati lungo le strade con un numero di feriti fra i militari della NATO e dell’Esercito afgano di quasi il doppio rispetto al 2009. Dati confermati dal Centro di Studi Strategici e Internazionali che a luglio ha pubblicato uno studio dal quale si ricava che dai 250 attacchi a giugno 2009 si è passati ai 900 nel maggio 2010, con un aumento medio mensile di 54 incidenti. I dati sono, quindi, discordanti perché probabilmente dettati da una differente interpretazione. L’evidente indicatore di una mancanza di incisività e successo dello sforzo bellico internazionale è stato trasformato in un indicatore di progresso ricavato dal numero degli incidenti. L’analisi dei dati conferma che gli Stati Uniti e le Forze della NATO non sono ancor riuscite a conquistare la fiducia della popolazione nelle province pashtun, dove i talebani sono più forti. Valutazione, peraltro, condivisa dal Tenente Generale Michael Oates Comandante di JIEDDO, che in una recente intervista rilasciata a “ USA Today” ribadisce che è fondamentale guadagnare la fiducia della popolazione afgana per proteggersi dalla “guerra degli IED”. In questa situazione non appare credibile che il ritiro delle Truppe internazionali dall’Afghanistan possa essere concentrata entro il mese di agosto 2011, piuttosto si dovrà pensare ad una “exit Strategy” graduale e progressiva come lo stesso Petraeus ripete ormai da tempo. Il Generale ha anche precisato che la battaglia in corso "Non è una battaglia convenzionale. Il progresso è lento con passi avanti ma, anche, con passi indietro". Una dichiarazione da cui traspare la convinzione che sul terreno c’è ancora molto da fare ed un messaggio alla classe politica americana per sollecitare una maggiore prudenza nelle affermazioni di facile vittoria. E’ certo che i Talebani controllano ancora molte parti vitali del territorio afgano ed è altrettanto sicuro che faranno leva su questa loro potenzialità per arrivare al tavolo della pace non da sconfitti ma come interlocutori in grado di contrattare. In questo contesto, il rischio di un incremento di agguati IED non è remoto e potrebbe tornare a coinvolgere di nuovo la popolazione afgana per ridurre quel minimo consenso che il Contingente militare internazionale sta tentando a fatica di conquistare.
16 settembre 2010

mercoledì 15 settembre 2010

Le origini di Al Qaeda

L’anniversario dell’11 settembre a nove anni dall’attentato alle Torri Gemelle accompagnato dalle insulse prese di posizione dei predicatori americani propugnatori di una cristianità intollerante, fa riemergere preoccupazioni in tutto il mondo per il rischio di un risveglio di Al Qaeda. Un incitamento alla rivolta quello che arriva dagli Stati Uniti che sta innescando la caccia al cristiano fra le minoranze sparse nel mondo. Se simili personaggi non saranno “oscurati” la lotta al terrorismo sarà destinata a non finire mai. Piuttosto è evidente come Al Qaeda stia cercando di espandersi oltre i confini dell’Afghanistan e dell’Iraq e stia arrivando in Corno D’Africa ed in Yemen a ridosso del Golfo di Aden. Una conferma che il gruppo terroristico è ancora in grado di operare attivamente e che sta connotandosi come un’organizzazione globale, agevolata in questo dall’iniziale sottovalutazione delle grandi potenze Occidentali. Quanto accaduto l’11 settembre 2001 ha scosso l’immaginario collettivo a livello internazionale perché avvenuto improvvisamente ed ha proposto inaspettatamente al mondo l’esistenza di un certo Osama Bin Laden che, nascosto in una grotta in Afghanistan, aveva gestito 19 terroristi suicidi che erano riusciti a realizzare il primo grande attentato della storia del mondo. Ma Osama era noto fin dalla resistenza dei mujahadeen afgani sviluppata negli anni ’80 contro l’invasore sovietico, in quel periodo “usato ed aiutato” da strutture di Intelligence americane, francesi, iraniane, marocchine, che ne fecero un leader di primo ordine in un teatro strategicamente importantissimo per il futuro del mondo. Proprio in quegli anni, Zbigniew Brzezinskilk, famoso politologo di nazionalità polacca ed emigrato negli USA durante la Seconda Guerra Mondiale, esprimeva per l’appunto la sua preoccupazione che "Un arco di crisi si estende lungo le coste dell'Oceano Indiano, con le fragili strutture sociali e politiche in una regione di vitale importanza. Il caos politico risultante potrebbe essere riempito da elementi ostili ai nostri valori". L'area critica si estendeva dall'Indocina al sud Africa, dal subcontinente indiano alla Turchia, ed a sud, attraverso la Penisola Arabica, versoi il Corno d'Africa. In quegli stessi anni anche la rivista del “Council on Foreign Relations” confermava l’importanza dell’area affermando che "Il Medio Oriente costituiva un nucleo centrale la cui posizione strategica era incomparabile. L'ultima grande regione del mondo, direttamente adiacente all'Unione Sovietica, che conservava nel suo sottosuolo circa i tre quarti delle riserve mondiali accertate di petrolio e luogo dove maggiormente era radicato il nazionalismo arabo”. La situazione politica favorì quindi la scelta di Osama che fu fatto rientrare in un più ambizioso progetto di intelligence internazionale gestita dal Safari Club, fondato il 1 settembre del 1976 dal capo dei servizi segreti francese SDECE ed a cui aderirono immediatamente Arabia Saudita, Francia e Egitto, seguiti nel tempo da molte Nazioni dell’Africa settentrionale. In quegli anni il gruppo operava soprattutto in Africa e Medio Oriente e nel 1979 ebbe un ruolo molto importante nel trattato di pace USA - egiziano - israeliano. Il ruolo del Safari Club risulterà fondamentale per la resistenza dei mujaheddin afgani contro l’invasore sovietico, la cui vittoria, peraltro, rappresentò un significativo passo per accelerare i tempi della caduta del muro di Berlino. Le iniziative politiche furono seguite immediatamente da quelle di natura economica e molte banche occidentali iniziarono a stringere accordi con l’Arabia Saudita i cui “fondi sovrani” potevano rappresentare significative riserve di danaro liquido da investire sui mercati internazionali. Bin Laden appartenente ad una famiglia di ricchi imprenditori sauditi, laureato a Londra e figura emergente del mondo arabo trovò ampi spazi di manovra in questa realtà e dimostrò immediatamente l’intelligenza di sfruttarla avviando una strategia di lungo termine. Contemporaneamente, in Afghanistan crollava per mano di fondamentalisti islamici il governo filo comunista retto da Taraki inducendo l’Unione Sovietica ad accelerare la già programmata invasione del Paese. Alla vigilia di Natale del 1979 l’Armata rossa entrò nel paese scatenando la resistenza dei mujahadeen, appoggiata dalla CIA, dall’ISI pakistano e dalla stessa Arabia Saudita patria di Osama il quale iniziò a garantire ai ribelli consistenti risorse economiche. Poco a poco con l’aiuto delle importanti strutture di intelligence mondiali fu costituita in Afghanistan una vera e propria legione straniera di musulmani jihadisti, i cosiddetti afgani arabi che poi avremmo ritrovato in tempi recenti in Iraq. In quegli anni e fino al 1992 più di 100.000 militanti islamici furono addestrati in Pakistan in campi supervisionati dalla CIA e dallo MI6, con la SAS (forze speciali britanniche) per la formazione di esperti nella fabbricazione di bombe e di operazioni militari “mascherate”, futuri combattenti talebani che confluirono ben presto in Al Qaeda e che compariranno poco dopo anche sugli scenari bellici dei Balcani. La vittoria dei mujahadeen contro l’invasore sovietico che abbandonò l’Afghanistan nella primavera del 1989, non riuscì a stabilizzare politicamente il paese, piuttosto favorì l’emergere di fazioni tribali gestite dai cosiddetti “Signori della Guerra”, molti ex capi della resistenza interessati più alla spartizione del potere piuttosto che a favorire l’uscita degli afgani dal Medioevo. Personaggi che durante la guerriglia si erano arricchiti con il commercio della droga coltivata lungo le umide rive del fiume Kabul. La situazione interna ben presto diventò ingestibile, Osama ed Al Qaeda iniziarono a amministrare il Paese con la connivenza di gruppi estremistici locali insieme a giordani, iraniani ed egiziani, consegnando ben presto Kabul agli studenti islamici. Nel 1990, Osama Bin Laden dalle montagne di Tora Bora iniziò ad organizzare la struttura operativa creando, anche, una forza aerea ombra destinata a sostenere le sue attività terroristiche. Lo fece utilizzando la compagnia aerea nazionale afgana, l’Ariana. che fu rinforzata da vecchi velivoli militari americani e da jet charter ceduti da paesi ombra, non ultimi il Sudan e la Somalia. Con i voli di Ariana per più di quattro anni furono traghettati in Afghansitan militanti islamici, armi, denaro e oppio attraverso i cieli degli Emirati Arabi Uniti e del Pakistan. Parte dei voli furono anche impegnati per trasportare i comandanti ed istruttori militari di Al Qaeda in Sudan con lo scopo di addestrare i somali che in quegli anni si opponevano al Contingente militare della Forza Multinazionale ONU, impegnata in Somalia per il mantenimento della pace. Al Qaeda cresceva e la situazione sfuggiva, di fatto, agli americani ed a tutto il mondo occidentale, favorendo anche se "involontariamente" la crescita di Bin Laden e la sua lotta terroristica contro l’Occidente. In questo contesto, significativo il ruolo dell’Intelligence pakistana (ISI) che favorì l’insediamento di strutture di Al Qaeda nelle Aree Tribali prospicienti al confine con l’Afghansitan con lo scopo, almeno ufficiale, di garantire sicurezza indiretta ad Islamabad. Anche in questo caso, però, Bin Laden e la nomenclatura di Al Qaeda hanno dimostrato e stanno confermando la capacità di saper gestire con fantasia ed efficacia la loro “dominanza” arrivando ormai da tempo a minacciare Islamabad ed il mondo intero con la proiezione sugli scenari internazionali di “Talebani pakistani”. Ricorsi storici di Al Qaeda che dovrebbero indurre a pensare contromisure di carattere particolare e puntuale per evitare che un giorno si ripetano attentati come quelli delle Torri Gemelle, anche con il possibile rischio dell’uso di “bombe sporche”.
15 settembre 2010












lunedì 13 settembre 2010

Il Mullah Omar si riaffaccia sulla scena internazionale

Un’Agenzia di stampa (AFP) informa da Dubai che il leader talebano Mullah Omar, ha lanciato un messaggio in occasione della Eid al-Fitr, la festa che chiude il mese sacro di digiuno del Ramadan. La notizia sembra sia stata resa pubblica dal servizio di monitoraggio statunitense SITE Intelligence Group. Il Mullah ha sottolineato come la coalizione militare a guida NATO stia perdendo la guerra in Afghanistan ed invitato gli afgani ad impegnarsi per raddoppiare la loro lotta contro l’invasore straniero e per costringere gli Stati Uniti a ritirarsi. Un passaggio del messaggio di Omar è diretto a tutte le cellule di Al Qaeda sparse nel mondo, quando dice, "La vittoria della nostra nazione islamica contro l’invasione degli infedeli è imminente ed il motore di questa è la consapevolezza dell’aiuto di Allah e della coesione di tutto il mondo islamico”. Un messaggio che forse per la prima volta abbandona i toni di un proclama di un Iman pronunciato in moschea durante la preghiera del venerdì per essere un vero e proprio annuncio politico rivolto non solo agli afgani ma a tutto il mondo islamico, anche moderato. Il silenzio del Mullah Omar è rotto nel momento in cui il “Daily Telegraph” informa, sempre da Dubai, che la famiglia del Presidente Karzai ed in particolare il fratello, Mahmood Karzai, ex emigrato proprietario di un piccolo ristorante del Maryland e diventato grazie al fratello presidente uno degli uomini d’affari più in vista di Kabul, ha creato un impero di 110 milioni di dollari acquistando immobili negli Emirati Arabi. I soldi sono stati presi “in prestito” dalla Kabul Bank ora sull’orlo del fallimento. Se la notizia fosse confermata, il fratello del Presidente le cui attività sono ben note ad Omar in quanto originari dalla stessa regione afgana di Kandhar, conferma la sua propensione a gestire traffici illeciti. Fino ad oggi il commercio della droga, attualmente anche investimenti immobiliari approfittando dei fiumi di denaro depositati dalla comunità internazionale nella banca di Kabul e destinati ad assicurare lo sviluppo del paese ed a migliorare le condizioni di vita della popolazione. La truffa, se vera, è emersa ad una settimana dalle elezioni parlamentari ed il messaggio di Omar suona come “una chiamata della sua gente” facendo leva sull’orgoglio nazionale, in un momento in cui migliaia di afgani preoccupati dei loro risparmi stanno cercando di ritirare i propri soldi dalla Kabul Bank e quando in Afghanistan si accingono ad eleggere il Parlamento. Un messaggio diretto anche al potere politico di Kabul ed alle costituende strutture militari e di Intelligence afgane destinate a breve a garantire sicurezza nel Paese. Personale sottopagato e per taluni aspetti sfruttato che assiste allo scempio della corruzione dilagante, peraltro a danno della popolazione afgana.

13 settembre 2010

domenica 12 settembre 2010

Bruciate copie del Corano negli USA

L’ANSA ha appena pubblicato la notizia che “Nonostante la rinuncia del pastore Terry Jones, due leader religiosi hanno comunque dato alle fiamme copie del Corano nel giardino di casa. E' accaduto a Springfield, nel Tennessee. Il reverendo Bob Old e il reverendo Danny Allen hanno dichiarato che il rogo non ha nulla a che fare con l'11/9. E' una questione di fede, e' una questione d'amore, mentre il Corano e' un libro di odio". Tra gli obiettivi, hanno aggiunto, quello di difendere la Costituzione degli Stati Uniti e il popolo americano”. Amore per chi ? Per le loro idee, per loro stessi, non sicuramente affetto verso la collettività che sicuramente non ha motivo di rallegrasi per quanto accaduto. E’ assurda la stupidità umana di chi condanna l’estremismo islamico e nello stesso tempio compie azioni radicali estemporanee destinate a minacciare in maniera anche grave la sicurezza di inermi cittadini. Costoro non hanno il diritto, in nome di una cattiva interpretazione della democrazia, di poter professare le loro idee attraverso manifestazioni di intemperanza dimenticando che il “terrorismo della parola” può innescare atti incontrollati da parte di fanatici, e non solo islamici, sparsi nel mondo. I reverendi americani Bob Old e Danny Allen con la loro azione e le loro affermazioni sul Corano hanno dimostrato di non conoscere il testo e la cultura islamica e la facilità con cui gli Imam riescono a gestire i fedeli che frequentano le moschee. Il loro gesto inconsulto potrebbe attivare nell’immediato forme di terrorismo artigianale difficili da prevenire a totale danno della sicurezza collettiva.
12 settembre 2010

venerdì 10 settembre 2010

Copenaghen, una persona tenta di farsi esplodere

La polizia danese ha arrestato un uomo che ha tentato di farsi saltare in aria in un albergo di Copenhagen (AGI news on), per fortuna senza causare feriti. La piccola esplosione si è verificata in un albergo nel centro della capitale danese, probabilmente scelto come simbolo in quanto si affaccia su Israeli Square. Il sospetto attentatore suicida è stato arrestato e sembra che sia rimasto ferito alla testa. L’episodio ripropone la Danimarca come uno degli obiettivi europei privilegiati del fondamentalismo islamico da quando nel 2005 furono pubblicate su un giornale locale le vignette su Maometto. In Belgio, un’organizzazione islamica integralista incita a commemorare gli attentati dell’11 settembre 2001 bruciando le bandiere americane in tutta la città. Il quotidiano belga la Gazzetta di Anversa, riferisce che Abu Imram - portavoce della “Sharia in Belgio” - ha annunciato per domani 11 settembre forme clamorose di protesta. Forse solo parole e gesti di piccoli estremisti “fai da te” che, comunque, sono segnali di tensione in crescita proprio in coincidenza della ricorrenza dell’attentato terroristico che ha cambiato la storia del mondo, anniversario che quest’anno cade il giorno dopo la fine del Ramadan. Tornano alla ribalta le schegge impazzite dell’estremismo islamico, coloro che si abbeverano quotidianamente alla fonte della propaganda estremista ed agiscono perché plagiati dalle parole piuttosto che supportati da convinzioni personali. Proprio per questo, costoro rappresentano un pericolo di estrema valenza, difficile da prevedere e quindi da prevenire. Episodi anche modesti come quello di Copenaghen od i proclami in Belgio non devono essere, quindi, sottovalutati, ma letti ed interpretati con analisi incrociate, per evitare di commettere gli stessi errori di previsione che portarono gli USA a non dare peso ad episodi che precedettero l’11 settembre. Alla stessa stregua di come ha dimostrato di saper fare Al Qaeda che ogni probabilità in questo momento sta monitorando tutti i Capi di Stato del mondo occidentale, a partire dal Presidente OBAMA che come noto proprio oggi si è affrettato a condannare il suo predicatore che aveva annunciato di voler bruciare copie del Corano.

10 settembre 2010

mercoledì 8 settembre 2010

11 settembre 2010, giorno a rischio dopo la fine del Ramadan

Il Ramadan cade nel nono mese dell’anno del calendario mussulmano ed ha un profondo significato religioso per l’Islam. Il Corano tramanda che in questo mese Maometto abbia ricevuto dall’Arcangelo Gabriele “rivelazioni di contenuto mistico”. La ricorrenza cambia anno dopo anno in quanto fa riferimento al calendario lunare di dodici mesi adottato proprio da Maometto. Durante il mese del Ramadan i musulmani debbono astenersi - dall'alba al tramonto - dal bere, mangiare, fumare e dal praticare attività sessuali ed in alcuni paesi mussulmani la non osservanza di queste regole che fanno parte dei cinque pilastri dell’Islam, è punita penalmente. Quasi ogni anno l’inizio del Ramadan è segnato da atti cruenti, in particolare nei paesi islamici che ospitano teatri di guerra, e spesso anche nei giorni a seguire la fine del digiuno. In Iraq il Ramadan 2010 è iniziato puntualmente con l’uccisione di otto soldati iracheni e tre civili nella provincia orientale di Diyala. In Afghanistan due attentatori suicidi sono rimasti uccisi per l’esplosione prematura delle cinture esplosive che indossavano, mentre erano in procinto di compiere un attentato nei pressi di una moschea a Farah, nell’ovest del Paese. Per la prima volta dall’attentato dell’11 settembre 2001, il Ramadan quest’anno termina il 10 settembre, una coincidenza che difficilmente si ripeterà nel breve termine e che avviene in un momento quando ancora il terrorismo internazionale ed Al Qaeda non sono stati sconfitti. Una prossimità di date che preoccupa sotto il profilo sicurezza per le possibili azioni eclatanti che eventuali terroristici islamici potrebbero effettuare e per possibili reazioni di occidentali accecati da “islamofobia", in particolare negli Stati Uniti dopo la notizia della possibile costruzione di una moschea vicino a Ground Zero a New York. Non in ultimo anche l’annuncio del predicatore Terry Jones che dalla Florida ha lanciato la sconcertante provocazione che l’11 settembre ha intenzione di fare un grande falò davanti alla sua chiesa gettando al rogo circa duecento copie del Corano. Situazione di tensione che coinvolge la componente islamica oltranzista e che in questi giorni potrebbe aggravarsi anche per l’unanime reazione del mondo occidentale contro la condanna a morte dell’iraniana Sakineh, oggi sospesa, ma che non è escluso sia eseguita proprio al termine del mese di digiuno. E’, dunque, sicuramente alto il livello della minaccia di possibili attentati anche compiuti da semplici “schegge impazzite” o fanatici terroristi invasati dalla ricorrenza dell’11 settembre e dalle dichiarazioni provocatorie che arrivano dagli USA. Un insulto quello Terry Jones e dei suoi adepti “cristiani fondamentalisti” che preoccupa lo stesso Generale David Petraeus, comandante supremo delle forze Usa in Afghanistan che ha condannato le parole del predicatore. Oggi, in Afghanistan migliaia di persone hanno manifestato contro l’iniziativa del religioso americano, dimostrando quanto gli estremisti guardino con attenzione al mondo occidentale e siano in grado di gestire la folla con immediatezza ed incisività. La preoccupazione del Comandante americano che ben conosce quelle aree e la cultura di quella gente dovrebbe rappresentare una preoccupazione globale nel momento che l’attentato alle Torri Gemelle non è stato un fatto solo ed esclusivamente americano. Forse, per questo, sarebbe auspicabile che tutte le istituzioni, i Capi di Governo e quanti altri si sono schierati contro la sentenza iraniana, facciano sentire la loro voce ed il loro dissenso anche nei confronti del pastore americano, con esplicita condanna delle sue dichiarazioni e rivalutando il rispetto delle scritture religiose dell’Islam. Un messaggio che molto probabilmente farebbe piacere a tutti i mussulmani, anche a quelli più estremisti e che per taluni aspetti potrebbe concorrere ad allontanare il rischio che Sakineh sia lapidata proprio l’11 settembre 2010, magari in concomitanza con un eclatante atto terroristico.
08 settembre 2010