lunedì 22 febbraio 2010

I danni collaterali in Afghanistan

La battaglia di Helmand continua. Non sarà sicuramente breve come peraltro confermato anche ieri dai vertici militari del Contingente NATO in Afghanistan, ma i “danni collaterali” continuano. Provocano vittime civili cagionate da bombardamenti aerei che sicuramente non favoriscono il consolidamento del consenso della popolazione per la coalizione NATO impegnata contro i Talebani. Un’agenzia ANSA oggi riferisce di un attacco aereo che ha provocato la morte di 33 persone fra cui moltissime donne e bambini. La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) conferma in un proprio comunicato che il bombardamento ha avuto per obiettivo "un gruppo di sospetti insorti che si riteneva fossero in marcia per attaccare una unità congiunta di militari afgani e dell'ISAF". Un’azione sferrata ieri contro autoveicoli che sembrava trasportassero insorti Talebani. I passeggeri, invece erano semplici civili. Il generale Stanley McChrystal comandante delle forse USA in Afghanistan ha espresso il suo personale rammarico e cordoglio al Presidente afgano Hamid Karzai sottolineando che l’impegno delle forze NATO è concentrato a proteggere gli afgani. L'uccisione o il ferimento, seppure fortuito, di civili non concorre, però, a confermare la volontà espressa dal generale ma vanifica i risultati dello sforzo militare e favorisce la propaganda degli insorti talebani. L’episodio non è isolato, ma è l’ultimo di avvenimenti analoghi ormai ricorrenti nell’ultimo periodo e che dovrebbero spingere a rivedere alcune ipotesi di battaglia. E’ pur vero che gli insorti vivono fra la gente, nascondono le armi nei villaggi, usano spesso i civili come scudi umani, ma i “danni collaterali” inducono a pensare che le truppe dell’alleanza internazionale sono ancora lontane dal controllo del territorio, almeno per quanto attiene alla struttura di intelligence. Decidere di attaccare un obiettivo solo perché “suggerito da supposizioni” non è accettabile sul piano militare e va contro il diritto umanitario, in particolare, quando le azioni militari sono svolte in presenza di popolazione civile. Una gestione sapiente dello strumento militare dovrebbe piuttosto spingere a non “supporre ma a tendere con una certa affidabilità alla certezza delle analisi” prima di attaccare un obiettivo. Nel dubbio, ricorrendo all’utilizzo di aeromobili ”a vista” al posto dei bombardamenti dall’alto, anche se ciò comportasse un incremento del rischio per il proprio personale. Provocare vittime civili abbatte il consenso della “Nazione Ospite” e vanifica qualsiasi iniziativa che vuole raggiungere la stabilità attraverso l’annientamento dell’avversario. In sintesi, non dovrebbero essere mai dimenticate le “lessons learned” che la storia ci tramanda. Le Legioni Romane proiettate verso Oriente preferivano non combattere una battaglia pur di non correre il rischio di coinvolgere la popolazione civile. In Vietnam il numero di civili morti sotto i bombardamenti ha rappresentato forse una delle principali cause della sconfitta americana sul piano politico ed anche sul terreno. Gli italiani a Mogadiscio il 2 luglio del 1993 pur di non coinvolgere nella battaglia i civili fra cui si nascondevano i ribelli somali, pagarono un pesante prezzo in termini di militari morti e feriti.
22 febbraio 2010

Nessun commento: