sabato 27 febbraio 2010

Morte a Kabul, un'altra azione militare, non solo terroristica

L’8 gennaio 2010 a Kabul la prima azione tattica con scopi terroristici. Un vero e proprio atto bellico, non un evento isolato come l’esplosione di un’autobomba o di una bicicletta imbottita di esplosivo. Ieri 26 febbraio, a distanza di poco più un mese, un altro episodio quasi analogo a quello di gennaio, Procedure simili, stessi obiettivi: un centro commerciale, alberghi frequentati da occidentali, l’esplosione di un’autobomba seguita da un attacco coordinato. Analogie che concettualmente richiamano alla memoria anche l’azione terroristica del 28 novembre 2008, condotta a Mumbai, in India. I consueti obiettivi umani, oltre agli inermi civili afgani, un francese, 10 indiani ed un italiano. Scampati altri quattro italiani e sembra un inglese. L’italiano ucciso era una figura istituzionale. Il numero due in Afghanistan dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE), ufficialmente a Kabul come Consigliere Diplomatico. A Kabul non avviene mai nulla per caso. Le agenzie giornalistiche riferiscono che l’agente italiano è stato ucciso non perché si trovasse fra altre persone e qualcuno ha sparato nel mucchio, ma mentre era al telefono nella propria stanza. Lo stesso capo della polizia afgana, Abdul Rahman ha riferito alla stampa che con ogni evidenza gli attaccanti cercavano di individuare gli stranieri ospitati negli hotel, essendo sicuramente a conoscenza delle loro nazionalità. Fra i 10 cittadini indiani morti, uno apparteneva quasi sicuramente all’Ambasciata dell'India, distante poche centinaia di metri, vittime dei Talebani considerati dal Pakistan uno strumento per contrastare la crescente influenza dell'antica rivale. Le operazioni sono state svolte attraverso un’azione tattica ben orchestrata, coordinata, non improvvisata e sicuramente non casuale. L’attacco del 18 gennaio è avvenuto in coincidenza delle azioni di “rastrellamento” che l’Esercito pakistano stava facendo nelle Aree Tribali a ridosso del confine con il Pakistan. Oggi, tutto avviene durante la battaglia di Helmand e mentre il Contingente Internazionale della NATO si accinge ad incrementare il numero dei propri uomini e l’Italia si impegna ad inviare altri 1000 soldati. Il 18 gennaio un primo segnale di un dispositivo terroristico non più affidato solamente ad attentatori suicidi ma ben addestrato e coordinato sul terreno. Oggi lo stesso dispositivo si presenta migliorato dimostrando di disporre anche di una struttura di intelligence capace di individuare uno specifico avversario ed eliminarlo. Un’altra tessera di un mosaico che conferma l’evoluzione della struttura operativa dei talebani. Non più solo eredi dei Mujaheddin bravissimi nell’agguato, ma personale forse anche straniero, ben addestrato e capace di non colpire più nella massa ma di saper scegliere obiettivi puntiformi, discriminandoli a priori. Una crescita operativa che sembra sia stata sottovalutata dalle forze internazionali in Afghanistan avendo subito a distanza di 40 giorni due attacchi molto simili. Un’evolvere di situazione che con ogni probabilità un’attività di intelligence avulsa da schemi preconcetti e più attenta alle realtà locali, avrebbe potuto prevenire. A Kabul, qualsiasi operatore non afgano, poco dopo il suo arrivo in città, è immediatamente individuato e noto a tutti. Sicuramente non passa inosservato chi per lungo tempo ha particolari frequentazioni e chi nel tempo può rappresentare merce di scambio anche solo per pochi dollari.

27 febbraio 2010

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