domenica 28 marzo 2010

I rapporti Pakistan - Afghanistan

Una dozzina di importati leaders dei Talebani, Comandanti militari e procacciatori di risorse economiche destinate agli insorti afgani, nelle ultime sei settimane sono stati arrestati in Pakistan. Il governo di Kabul e responsabili del Contingente NATO hanno apprezzato i risultati che sicuramente hanno influito negativamente sulle operazioni militari dei Talebani attaccati ad Helmand ma, nello stesso tempo, è stato espresso anche scetticismo in quanto gli arresti hanno inciso negativamente sui colloqui “riservati” che ormai da mesi Karzai sta portando avanti autonomamente con esponenti dei Talebani. Fonti di stampa locali ed internazionali come il TIME, riportano, infatti, interviste a rappresentanti governativi registrate a Peshawar, a Kabul ed a Kandahar da cui emerge che dei 14 arrestati, otto erano sicuramente favorevoli al processo di pace nel quale sembra fossero già coinvolti personalmente. Ipotesi confermate anche da un funzionario delle Nazioni Unite Kai Eide, ex rappresentante speciale dell’ONU in Afghanistan, che in una recente intervista alla BBC ha affermato che gli arresti avvenuti in Pakistan hanno interrotto contatti già attivi a Dubai tra Nazioni Unite e Talebani anche con l’importante mediazione del re Abdullah e di altri esponenti di spicco dell’Arabia Saudita. Gli arresti effettuati dai pakistani hanno anche interrotto contatti aperti personalmente da Karzai con parte degli arrestati fra cui il Mullah Abdul Ghani Baradar, tutti appartenenti alla tribù afgana Popalzai di cui è originario lo stesso presidente. Molte le perplessità, quindi, sull’efficacia politica dell’azione pakistana che anche analisti locali giudicano inaspettata perché, come ribadito ufficialmente da un alto funzionario del Governo afgano, "I pakistani conoscevano da almeno otto anni ogni movimento di Abdul Ghani Baradar e degli altri arrestati all'interno del Pakistan. Ed allora perché gli arresti ora, quando cominciava ad arrivare qualche segnale di pace con i Talebani? ". Molti, dunque, gli interrogativi in sospeso. Fra i possibili motivi uno potrebbe essere rappresentato dalla pressione che l'Amministrazione Obama sta esercitando sul Pakistan perché assuma un ruolo più concreto nella lotta contro i Talebani ed acceleri le iniziative in corso nel paese come il contrasto alla raccolta dei fondi destinati agli insorti afgani, il reclutamento di “jihadisti” e di kamikaze in particolare adolescenti frequentatori delle madrasse pakistane (scuole religiose islamiche). Ma molto probabilmente non è l’unica ragione che ha spinto Islamabad a procedere all’improvvisa cattura di importanti personaggi talebani da anni residenti in Pakistan . I servizi segreti pakistani - principali artefici dell’insediamento dei Talebani a Kabul nella metà degli anni ’90 - sono stati esclusi, per quanto noto ed almeno per ora, dalle trattative di pace. I funzionari dell’ISI (Inter Service Intellgence) pakistano, notoriamente interessato alle vicende afgane. potrebbero, quindi, avere interesse perché coloro che sono stati catturati non partecipino alle trattative di pace in quanto da sempre interfacciati ad esponenti dell’ISI e quindi a conoscenza di possibili episodi del passato in cui l’intelligence pakistana potrebbe avere avuto un ruolo determinante e non sempre a totale vantaggio degli afgani. Infatti l’ISI, sulle orme del vecchio KGB, non sempre ha applicato nel tempo procedure operative condivisibili e i talebani di rango come Abdul Ghani Baradar e Mulvi Kabir potrebbero essere a conoscenza di dettagli scomodi, anche solo per averli subiti. Sicuramente il Pakistan non è molto favorevole che i Talebani catturati nel paese possano incontrare le autorità afgane, come tutta la stampa pakistana riferisce in questi giorni informando che Islamabad ha rifiutato di accogliere la richiesta di estradizione presentata da Kabul per poter interrogare coloro che sono stati arrestati a Karaci ed ha respinto anche le richieste degli Stati Uniti che intendono interrogare costoro senza la presenza di funzionari dei servizi segreti pakistani. Il rifiuto pakistano, come ipotizzato da Thomas Ruttig, uno dei direttori del network di analisti operativo in Afghanistan, potrebbe rappresentare un tentativo di ottenere che anche funzionari di Islamabad siano coinvolte nel processo di pace e, per l’appunto, l’ISI potrebbe cercare di creare le condizioni perché tutto ciò si realizzi. Il Pakistan teme sicuramente che la sua estromissione possa rappresentare una sconfitta politica che annulli gli sforzi dei pakistani impegnati da decenni di cercare di ottenere che nel governo di Kabul sia presente una maggiore rappresentanza pashtun non solo composta da talebani, ma anche da altri due gruppi di ribelli come il clan di Haqqani, che opera nell’Afghanistan orientale e quello dell’ex signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar che non ha mai smesso di interfacciarsi con l’intelligence pakistana fin dai tempi dell’invasione russa dell’Afghanistan. Il Pakistan guarda anche con sospetto alla emergente presenza dell’India in Afghanistan ed Islamabad recentemente, in occasione della recente visita di Karzai, ha esplicitamente chiesto al presidente afgano un maggiore impegno per frenare la crescente ingerenza dell’eterno nemico del Pakistan. Forse, una nuova situazione si sta configurando nella regione, con contorni ancora sfumati ma che andrebbe attentamente monitorata perchè potrebbe incidere sulla stabilità di una regione geografica essenziale a livello globale. A tale riguardo una rilettura degli avvenimenti terroristici avvenuti a Kabul il 26 febbraio 2010 induce a pensare che forse qualcosa è già in evoluzione. L’obiettivo principale di quella azione era un albergo che ospitava oltre agli italiani anche diversi operatori indiani attivi in Afghanistan. Fra le vittime sicuramente non casuali, cittadini indiani qualcuno presumibilmente funzionario della vicina Ambasciata dell’India a Kabul. Un atto terroristico sicuramente coordinato sul piano tattico e pianificato e non affidato a gruppi armati improvvisati e motivati solo dal fanatismo religioso. Piuttosto un’azione più complessa che potrebbe aver avuto uno scopo ben più complesso da quello di un semplice gesto terroristico attuato per raggiungere un mero consistente impatto mediatico. Qualcosa pensata, organizzata e condotta da un “gruppo di fuoco” che con ogni probabilità non era composto solo da Talebani, piuttosto integrato e coordinato da elementi esterni secondo un modello molto noto nel passato durante la resistenza dei mujaheddin contro l’invasore sovietico e, successivamente, nel corso della guerra civile afgana a vantaggio della vittoria dei Talebani.
28 marzo 2010

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