mercoledì 3 marzo 2010

Le prossime elezioni in Iraq. Un fatto iracheno o destinato ad influire nell’area geografica?

Il prossimo 7 marzo in Iraq ci sarà la seconda tornata elettorale dopo la caduta di Saddam. Una data importante se affrontata con un approccio democratico e costruttivo e che dovrebbe rappresentare la ripresa economica e sociale del paese. I presupposti però non sembrano essere dei migliori. Oggi un triplice attentato suicida compiuto a Baluba. 30 i morti e 42 i feriti dopo un attacco che dimostra come sia ancora significativa la presenza di cellule terroristiche nell’area. Atto che segue quelli recenti del 16 gennaio con 37 morti e del 25 gennaio rivendicato da Al Qaeda. Il 7 marzo saranno chiamati alle urne diciannove milioni di iracheni che dovranno scegliere 325 deputati fra 6.100 candidati. I fatti stanno dimostrando che sono in corso, però, una serie di minacce interne ed esterne per condizionare la volontà degli elettori che si aggiungono ai problemi ancora da risolvere. Primo fra tutti la sentenza della “Commissione Giustizia e Responsabilità” che ha escluso 511 candidati perchè ritenuti vicini al disciolto partito Baath, decisione apprezzata dai politici sciiti ma non condivisa dai sunniti, convinti che quanto deliberato, anche se fosse modificato, ha ormai allontanato gli Arabi sunniti dalla politica irachena. Un’esclusione nemmeno condivisa da Washington che nella persona di Joe Biden, il vice di Obama, pur dichiarando di non volere interferire nel processo elettorale iracheno ha espresso il dubbio che la comunità internazionale possa riconoscere la validità dell’esito delle elezioni se fosse confermata l’esclusione di questi candidati. Il momento è reso ancora più complesso dai curdi che nel nord del paese cercano sostegni all’estero perché una volta per tutte si raggiunga la condizione di “un Iraq unito”, auspicio condiviso dagli USA come recentemente affermato dalla Clinton. Anche Al Qaeda minaccia una nuova ondata di violenze per ostacolare la consultazione elettorale, probabilmente già iniziate con i recenti attentati e l’attacco terroristico di oggi. Una serie di episodi accompagnati anche dall’ombra di Teheran interessata alle vicende interne del vecchio nemico, se è vero come sembrerebbe, che dietro al verdetto della Commissione di giustizia ci sia la regia di Ahmed Chalabi ex alleato del Pentagono che ha avuto un ruolo chiave in occasione dell’attacco americano all’Iraq ed oggi ritenuto da più fonti agente dell’Iran. Costui, insieme ad Ali Faisal al-Lami già indagato dagli USA in quanto implicato in un attacco a edifici governativi a Sadr City, si presenterà alle elezioni del 7 marzo come esponente della “Iraqi National Alliance” di cui fa parte la maggioranza sciita. Altri segnali esterni all’Iraq potrebbero inoltre influire negativamente sulla già precaria situazione preelettorale. La non chiara situazione in Turchia dopo le notizie di uno sventato colpo di stato da parte di militari propugnatori di un regime tradizionalista e laico, il ruolo di Israele ed i recenti accordi Siria - Iran. In una recente visita in Siria di Mahmoud Ahmadinejad, il presidente siriano Bashar al Assad ha espresso formale assenso sulle iniziative nucleari iraniane, affermando che "L’Iran ha il diritto di proseguire il suo programma di arricchimento dell’uranio per scopi pacifici" ed ha annunciato di aver stretto un accordo per il libero transito dei cittadini dei due paesi senza più bisogno di visti d’ingresso. Un “modello Schengel”, che potrebbe rappresentare l’inizio della nascita di una “Unione di Repubbliche Islamiche” a cui nel tempo non potranno sottrarsi l’Iraq, l’Afghanistan e quasi sicuramente lo stesso Pakistan. Un’aggregazione in grado di rappresentare un’alternativa economica e politica all’Arabia Saudita ed agli Emirati, tale da rappresentare un serio pericolo per la sicurezza di Israele. Mahmoud Ahmadinejad nella stessa occasione non a caso è tornato ad affermare "Se l’entità sionista ripeterà gli errori commessi in passato, la Siria e l’Iran saranno pronti ad affrontare lo Stato ebraico", accusando gli Stati Uniti di "voler creare un grande Medio Oriente con un grande stato sionista" e concludendo con un preciso riferimento alla situazione irachena: "i nostri popoli odiano la presenza di stranieri e questi devono subito lasciare la regione". Parole che lasciano capire quali possano essere i futuri intendimenti iraniani e siriani, annunciati, peraltro, in coincidenza delle celebrazioni per la ricorrenza della nascita di Maometto e che ribadiscono l’unità dei popoli musulmani a cui l’Iraq non potrà sottrarsi. Un richiamo indiretto a tutti coloro che considerano legittimati a governare solo i discendenti del Profeta Maometto ed esteso alle possibili cellule terroristiche dormienti dislocate in Iraq e nel mondo, per coinvolgere tutti in una Jihad finalizzata ad annullare qualsiasi sforzo che porti ad un’interpretazione laica della politica, unica garanzia per un rapido sviluppo democratico e per la stabilità nella regione e nel mondo.

3 marzo 2010

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