lunedì 8 marzo 2010

Una riflessione sulla giornata elettorale in Iraq

In Iraq sono terminate le elezioni dopo una giornata di sangue che ha lasciato sul terreno non meno di 38 morti e 110 feriti. Un tributo alla democrazia dato dai milioni di iracheni che hanno sfidato le minacce ed i proclami di Al Qaeda pur di poter esprimere il loro diritto al voto. Una grande presenza anche nelle regioni sunnite, dove invece nel 2005 le elezioni erano state in gran parte boicottate. Il presidente Jalal Talabani ha parlato di "giorno storico, in cui il vincitore assoluto è il popolo iracheno” ed unanimi gli apprezzamenti di tutto il mondo occidentale. Al Qaeda, quindi, sembra aver fallito questa volta il proprio obiettivo, ma non possono essere ignorati i lanci di razzi ed i colpi di mortaio, di cui quattro anche sulla Zona Verde dove hanno sede le istituzioni irachene e molte ambasciate straniere. Attacchi per la prima volta non realizzati con l’utilizzo di autobomba o di attentatori suicidi ma ricorrendo a veri e propri sistemi d’arma. Al Qaeda, immediatamente prima delle elezioni aveva minacciato che avrebbe usato "mezzi militari" contro chi si fosse recato alle urne ed in parte ha mantenuto la promessa, impiegando appunto lanciatori Katiuscia e mortai. I terroristi hanno gestito un fuoco mirato erogato a macchia di leopardo, dimostrando di essere ancora in grado di intervenire in modo coordinato, con azioni programmate e quasi contemporaneamente in diverse zone del Paese e nella stessa Bagdad. Difficilmente, infatti, i gruppi di fuoco si sarebbero potuti spostare nella stessa giornata da una zona all’altra dell’Iraq trasportando mortai e lanciarazzi pesanti senza correre il rischio di incappare nei controlli delle forze irachene che peraltro hanno dimostrato di essere in grado di poter presidiare il territorio in maniera affidabile. I mortai ed i razzi sono stati utilizzati contro obiettivi ubicati in aree abitate, da siti “aderenti” ai target da colpire, sicuramente ricorrendo a professionisti preparati piuttosto che a fanatici addestrati solo ad azionare un telecomando di un IED o a farsi saltare indossando una cintura esplosiva. Un segnale che non può essere sottovalutato e che deve indurre a non abbassare la guardia per non vanificare la volontà espressa dagli iracheni a vantaggio della democrazia e destinata ad avere ricadute positive in quella particolare e tormentata area geografica. Quanto accaduto, infatti, dimostra che i gruppi terroristici dispongono ancora di risorse militari di una certa valenza anche se forse numericamente limitate e che, in ogni caso, possono ancora fare affidamento a strutture di sostegno sul territorio e ad appoggi esterni in grado di garantire loro un supporto logistico, armi e materiali peculiari.

8 marzo 2010

1 commento:

Piero Laporta ha detto...

Analisi perfetta, assolutamente condivisibile.
Domanda: chi sostiene i terroristi dall'esterno?