mercoledì 28 aprile 2010

La battaglia di Kandahar e la strategia di Obama in Afghanistan

Scatterà a giugno la massiccia offensiva delle truppe Nato nella provincia afgana di Kandahar, fase successiva all'operazione militare in corso nella vicina Helmand. In una recente intervista il generale Stanley McChrystal ha spiegato che l'offensiva di giugno si inserisce in un contesto più generale di sforzi militari e politici per garantire la sicurezza nella zona. Le nuove operazioni militari seguono l’Operazione Mushtarak, ancora in atto nella provincia di Helmand, che sembra essere riuscita nell'intento di rimuovere l'influenza dei ribelli nella zona e consentire alle autorità locali il controllo del territorio. I talebani, rispondono a questi annunci con attacchi terroristici. Recentemente a Kandahar hanno provocato 35 morti, fra cui donne e bambini e dal portavoce talebano Qari Yusuf Ahmadi sono stati definiti come un “messaggio di avvertimento” al Generale americano Stanley McChrystal, "una reazione all'operazione statunitense che sta per essere organizzata nella provincia di Kandahar, e un atto che prova come i mujaheddin islamici sono pienamente preparati e pronti a combattere gli americani, la NATO ed i loro alleati". A Kandahar i talebani hanno dimostrato di saper aggirare i meccanismi di sicurezza, portando i propri kamikaze fino davanti gli obiettivi strategici più protetti come la prigione centrale, commissariati di polizia e residenze di personalità fra cui il capo della polizia ed il presidente del Consiglio provinciale e il fratello del presidente Ahmad Wali Karzai. Kandahar è la capitale del sud, è considerata una roccaforte della ribellione talebani e come Kabul conserva le tradizioni culturali, politiche e tribali dell’Afghanistan, patria della rivolta pasthun. Dopo Helmand è la regione afgana che maggiormente sostiene la coltivazione del papavero da oppio, la produzione ed il commercio di droga. Kandahar è abitata da mezzo milione di persone governate dal controverso fratello del presidente afgano con una gestione caratterizzata da corruzione dilagante che soffoca i residenti e coinvolge buona parte della polizia del luogo molto vicina ai “Signori del potere locale”. Di notte, molti quartieri passano sotto il diretto controllo dei talebani che malversano le persone che collaborano con il governo anche con omicidi e rapimenti e dimostrano di sapersi muovere sul territorio con la complicità di clan locali. Una situazione sicuramente non facile, la quale, difficilmente potrebbe essere cambiata dal solo intervento militare realizzato con un attacco frontale, come peraltro sottolineato da un comandante talebano che, con lo pseudonimo di Mubeen, spiega che se la pressione militare dovesse diventare troppo forte, “i Talebani abbandoneranno Kandahar e ritorneranno dopo”, attuando tattiche tipiche dei mujaheddin afgani ed ereditate durante la resistenza ai sovietici. Una fotocopia di quanto avvenuto in Iraq subito dopo l’entrata degli americani, quando la Guardia Repubblicana di Saddam si nebulizzò per poi rientrare subito dopo in combattimento con azioni di guerriglia mirate. Una tattica nella quale Mubeen crede fortemente confidando nel sostegno dei 500mila abitanti di Kandahar che, come i talebani, sono in maggioranza Pashtun sostenuti anche da molti dei Signori della Guerra delle Aree Tribali pakistane. E’ prevedibile che quasi sicuramente la resistenza talebana a difesa di Kandahar sarà coordinata dalla regia strategica del Mullah Mohammad Omar al quale il comandante Mubeen è molto legato fin dai tempi dei combattimenti del 1996 per la conquista di Kabul e che nel 2001 ha svolto un determinante ruolo logistico trasferendo gli armamenti dei Talebani fuori della città di Kandahar. Minacce che sembrano essere prese in seria considerazione dal generale Stanley McChrystal Comandante del Contingente della NATO in Afghanistan, quando ripete che per Kandahar non potranno essere previsti né "D-Day" nè "H-Hour" ed a differenza di Marjah, le operazioni militari potrebbero non essere decisive se non saranno precedute ed accompagnate da un palese ed energico contrasto alla corruzione ed al traffico della droga. La guerriglia talebana è preparata a confondersi nella folla, a sparire per poi riemergere e colpire senza preavviso e da 8 anni è combattuta da un numero di militari del Contingente internazionale minore, in termini percentuali rispetto alle dimensioni territoriali, di quelli a suo tempo inviati in Bosnia e con molti alleati degli USA vincolati da regole di ingaggio molto limitative. Peraltro la battaglia di Kandahar ancora di più che quella di Helmand sarà sviluppata in un area densamente abitata e perciò sarà elevato il rischio dei così detti “danni collaterali” che renderebbero ancora più difficile il coinvolgimento della popolazione per accelerare l’isolamento dei ribelli. Nel saggio “Descent into Chaos: The United States and the Failure of Nation Building in Pakistan, Afghanistan and Central Asia”, il giornalista pakistano Ahmed Rashid ha raccontato quanto era barbaro il regno talebano, giustificando la guerra del 2001 che, però ha disatteso il concetto primario di “Nation -building”. Una “opportunità perduta” che, come sostiene Rashid, ha favorito la “dittatura” nucleare pakistana sempre più collusa con i Talebani, il consolidamento dei Signori della Guerra nel governo dell’Afghanistan, l’aumento esponenziale degli incassi del narcotraffico che sono esplosi ed hanno rivitalizzato il terrorismo e il fondamentalismo religioso. Un’analisi quella di Rashid che unita alle minacce di Mubeen dovrebbero suggerire cautela nello stimare che le operazioni militari a Helmand ed a Kandahar sono destinate da sole a segnare la definitiva sconfitta dei Talebani. Piuttosto è necessario pensare da subito a preparare la ricostruzione della Nazione accompagnando il successo militare con un’immediata azione di ricomposizione della società civile afgana. E’ auspicabile, perciò, che lo staff di Stanley McChrystal nel pianificare la battaglia di Kandahar si stia già impegnando per organizzare un “dopo Kandahar” che renda possibile il rispetto dei tempi previsti per l’uscita delle truppe straniere dal Paese. Se, invece, non saranno garantire queste condizioni ed il governo Karzai dovesse cadere sotto il peso degli scandali e della corruzione e dare spazio ad una nuova affermazione delle logiche tribali e di quelle etnico e religioso, allora “la strategia di uscita” ipotizzata da Obama potrebbe complicarsi e avviarsi al fallimento degli sforzi di 8 anni, proponendo solo le condizioni per un’onorevole ritirata.

28 aprile 2010

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