domenica 1 agosto 2010

La strategia USA in Afghanistan

Un ex capo della task force della CIA, che 25 anni orsono ha aiutato i mujaeddhin afgani a combattere l’invasore sovietico, in un’intervista al Wall Street Journal ha espresso dubbi sulla validità operativa della attuale strategia attuata per combattere i Talebani. L’esperto americano sottolinea come, infatti, sia pericolosamente simile a quella che alla fine degli anni ’80 portò alla sconfitta sovietica. Analisi assolutamente condivisibile se è noto lo sforzo allora sostenuto dagli americani per favorire la resistenza afgana, destinato ad essere immediatamente vanificato dalle lotte interne post invasione, con protagonisti principali i Signori della Guerra, le fazioni tribali e forse anche con la complicità dell’ISI pakistano. Carenze di valutazione in quel momento anche giustificabili che, però, hanno sicuramente agevolato nel tempo il consolidamento dei Talebani e di Al Qaeda. Il Presidente Obama vuole iniziare il ritiro delle truppe a metà del 2011 con un approccio almeno apparentemente semplicistico che non tiene conto proprio della importanza di queste realtà storiche. Un errore che potrebbe innescare il collasso del governo Karzai ancora troppo condizionato dalla corruzione dilagante e da realtà locali colluse con chi gestisce la coltivazione della droga e qualsiasi altro traffico illecito. Un vuoto di potere che potrebbe riaprire situazioni tragiche già vissute dalla popolazione afgana negli anni ’90. Un’eventualità condivisa anche da esperti analisti russi, profondi conoscitori della realtà afgana in quanto operativi in Afghanistan negli anni ’70, che suggeriscono al Cremino di aumentare la presenza di professionalità sovietiche in Afghanistan destinate a permeare le realtà tribali attraverso forme di assistenza economica, tecnologica, commerciale e culturale. In ogni caso, è essenziale che Washington, a premessa di tutto, aiuti Karzai a trovare rapide ed affidabili alternative ai politici corrotti che ancora permeano le istituzioni afgane, esaltando i valori tradizionali del paese condivisi dalla maggior parte della popolazione afgana ed assicurando aiuti economici sul piano globale destinati ad esaltare la “Capacity Building” del Paese piuttosto che interventi “unidirezionali” ad alto rischio di ingerenze locali. Una necessità condivisibile da tutti coloro che conoscono l’Afghanistan, Patria di grandi potenzialità rappresentate da gente di cultura, liberali, laici non estremisti e gente onesta. Non sembra che però, almeno per ora si proceda in questa direzione, anche se la Commissione indipendente per il controllo degli ultimi risultati elettorali ha “squalificato” 36 candidati per il Parlamento, sui quali sono state raccolte prove di collusione con milizie private illegali. Potrebbe essere un buon inizio di pulizia del processo elettorale in Afghanistan in previsione delle elezioni parlamentari del prossimo 18 settembre, ma la struttura di vigilanza non ha la facoltà di poter decidere quale candidato escludere. Devono, quindi, essere individuate altre soluzioni perseguibili che coinvolgano direttamente Kabul, abbandonando una volta per tutte qualsiasi promessa pleonastiche che, se disattesa, può amplificare il rischio di un’escalation di atti eversivi violenti. La realtà attuale è resa ancora più emblematica dalla scelta di Karzai del suo Vice Mohammad Qasim Fahim. Documenti ufficiali definiscono Qasim come coinvolto fin dal 1990 in possibili crimini di guerra, situazione peraltro nota a molti afgani. Fahim era un alto comandante del Jamiat-e-Islami durante la guerra civile in Afghanistan e un rapporto di Human Rights Watch parla di "prove credibili e coerenti di violazioni diffuse e sistematiche dei diritti e delle violazioni del diritto umanitario internazionale" da parte di tutti i comandanti di quel gruppo. La realtà afgana è sicuramente complessa e caratterizzata da valenze che non possono né devono essere ignorate. I leaders tribali costituiscono lo scheletro della cultura afgana e la maggior parte è sicuramente collegata e quotidianamente coordinata almeno con le fazioni talebana moderate. Costoro devono essere coinvolti in tutte le iniziative portate avanti per conferire al Governo di Kabul autonomia e possibilità di autogestirsi, a meno di non vanificare gli sforzi finora affrontati in termini economici e di vite umane. L'Afghanistan è una società tribale radicata che non può essere ignorata, piuttosto deve essere opportunamente coinvolta e gestita nel massimo rispetto delle tradizioni locali.
1 agosto 2010

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