giovedì 18 novembre 2010

Droga e terrorismo in Afghanistan


Una delle possibili fonti per il finanziamento del terrorismo internazionale deriva dal commercio della droga. Attività illecita che favorisce i legami della malavita locale con i possibili gruppi terroristici o altre organizzazioni substatuali che localmente si oppongono al Governo istituzionale. In Afghanistan la coltivazione del papavero da oppio, la trasformazione in eroina ed il successivo commercio della droga verso i mercati occidentali ha rappresentato e rappresenta una significativa fonte di reddito anche per le forze eversive che operano nel paese. Risorse che consentono ad Al Qaeda ed ai suoi fiancheggiatori di mantenere alta la tensione e ritardare il processo di stabilizzazione. Le Nazioni Unite, attraverso l’Ufficio contro la Droga ed il Crimine (UNODC), da anni sono impegnate a contrastare la produzione della droga afgana con risultati non sempre positivi per l’opposizione dei Signori della Guerra che nel paese controllano il territorio e gestiscono il commercio illecito. Attualmente le Nazioni Unite hanno perduto il controllo della produzione di oppio in Afghanistan da dove viene esportato il 90% della richiesta mondiale di oppiacei. Attività illecite che giorno dopo giorno consolidano i rapporti di connivenza dei Signori della Guerra con Al Qaeda e che assicurano consistenti interessi economici che coinvolgono anche personalità locali vicine al governo di Kabul, come il fratellastro del Presidente Karzai. Realtà che le Nazioni Unite stanno cercando di affrontare introducendo programmi agricoli alternativi per sostituire la produzione del papavero con coltivazioni lecite. Significativo un recente progetto che cerca di incoraggiare gli agricoltori afgani a passare alla coltivazione dello zafferano, una delle spezie più costose al mondo e di cui la sola Europa ne consuma circa 300 tonnellate ogni anno. Se si riuscisse a raggiungere l’obiettivo l’Afghanistan diventerebbe uno dei maggiori concorrenti dell’Iran nella produzione dello zafferano ed i contadini afgani potrebbero raddoppiare i loro redditi. Un ettaro di terreno coltivato a papaveri da oppio garantisce, infatti, dai 2.000 ai 3.500 Euro/anno mentre un’area di eguale superficie coltivata a zafferano può arrivare a 8.500 Euro/anno. Nell’area di Herat le forze militari italiane ed i “Provincial Reconstruction Team” hanno già avviato una fase sperimentale coinvolgendo alcuni agricoltori locali che sono già passati alla coltivazione dello zafferano. Molte, però, le difficoltà. Il processo evolutivo in corso, infatti, deve vincere la resistenza dei “potenti locali” che oggi traggono profitto dal commercio della droga e degli stessi agricoltori che coltivando oppio sono pagati in anticipo. Anche personalità della cultura afgana sono abbastanza scettiche sui possibili risultati, come ha recentemente esplicitato Ghulam Rasoul Samadi della Facoltà di Agraria dell'Università di Kabul. "Il mercato mondiale dello zafferano è molto minore di quello dell’oppio ed una realtà socio economica devastata quale quella afgana sicuramente è più favorevole al reddito immediato che l'oppio può garantire". Il quadro di situazione in prima approssimazione non sembra, quindi, favorire le iniziative orientate ad invogliare la popolazione agricola ad impegnarsi in attività produttive diverse dalla coltivazione del papavero e che potrebbero, invece, innescare reazioni violente di chi in Afghanistan controlla lo specifico commercio, i Signori della Guerra. Costoro sarebbero in grado di ricorrere anche all’utilizzo di IED artigianali contro chi è impegnato nel controllo del territorio per favorire la pacificazione del paese e di tutti coloro che da anni lavorano per incrementare la “Capacity Building” afgana insieme ad una parte della popolazione locale. Militari della NATO e dell’Esercito afgano, funzionari dell’ONU e delle Organizzazioni Non Governative e la popolazione rurale locale che dimostra interesse verso nuove forme di produzione agricola. Un pericolo che non deve essere sottovalutato da chi intende portare avanti il processo di riconversione agricola del paese, per non correre il rischio di esaltare i contenuti della minaccia terroristica la cui gestione potrebbe coinvolgere oltre ai Talebani anche i produttori di oppio preoccupati della stabilità dei loro feudi. Qualsiasi progetto, quindi, non dovrà essere limitato alla solo fornitura di risorse economiche, delle sementi e di quanto altro necessario alla conversione della produzione agricola, ma dovrà prevedere anche e soprattutto iniziative che coinvolgano i Signori della Guerra nella gestione delle nuove forme produttive e commerciali assicurando loro una redditività maggiore del ricavato per la produzione e la vendita dell’oppio e dell’eroina. Con ogni probabilità percorrendo questa strada si potrà sperare di abbattere nel medio termine la produzione della droga afgana, condizione prioritaria per facilitare il processo di stabilizzazione. Risultato importantissimo anche su un piano globale in quanto riducendo drasticamente il flusso di merce illecita sui mercati internazionali potrà essere contrastato il “terrorismo bianco” che attraverso lo spaccio della droga ormai coinvolge sempre di più le generazioni emergenti del mondo Occidentale.
18 novembre 2010

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