lunedì 29 novembre 2010

Il terrorismo evolve

Wikileaks ha pubblicato circa 250 mila documenti tratti dagli archivi USA. Una diffusione limitata rispetto al milione di files preannunciati che conferma una scelta a monte, indotta probabilmente da decisioni politiche piuttosto che redazionali. Una divulgazione che dimostra come le possibili azioni destabilizzanti e quindi terroristiche non sono più solo rappresentate da atti eclatanti come quelli dell’11 settembre, ma possono essere attuate anche attraverso azioni globali improntate al’antico concetto “dividi et impera”. Per quanto noto, infatti, quello che è stato pubblicato non risparmia nessuno dei potenti del mondo. Vladimir Putin descritto come un autoritario. Silvio Berlusconi amante delle riunioni conviviali selvagge definito portavoce della Russia in Europa. Sarkozy dipinto come "imperatore nudo". La Cancelliera Merkel che “naviga” evitando i rischi. Il presidente afgano Hamid Karzai afflitto da paranoia e Gheddafi caratterizzato da ipocondria. L’ONU ed il suo segretario generale Ban Ki-moon oggetto di interesse dell’intelligence americana gestita da Obama e dal suo segretario di Stato Hillary Clinton (nota del 31 luglio 2009). Veline su azioni segrete USA progettate per portare via da un reattore nucleare pakistano uranio altamente arricchito, nel timore che potrebbe essere utilizzato per realizzare un ordigno terroristico “sporco”. Documenti che insieme a centinaia di altri incideranno forse in maniera indelebile sulle relazioni diplomatiche internazionali con effetti difficilmente immaginabili. Una realtà che indica al mondo l’assoluta permeabilità dei sistemi di sicurezza statunitensi ed innesca sfiducia e perplessità in tutte le altre entità mondiali che quotidianamente interagiscono con gli USA. Molti i dubbi su chi possa essere il promotore dell’iniziativa di Wikileaks. Sicuramente un regista che ha l’interesse di ridicolizzare gli USA ed attivare una forma di terrorismo silente molto più pericoloso di quello tradizionale. Non sono una novità i rapporti fra Berlusconi e Putin come le preoccupazioni del mondo arabo moderato di fronte alla crescita nucleare dell’Iran, ma la dimostrazione che improvvisamente comunicazioni istituzionali possano diventare oggetto di conoscenza globale rappresenta una pericolosa rottura degli equilibri che fino ad ora hanno caratterizzatogli equilibri politici ed economici mondiali. La divulgazione dei documenti ha proposto alla gente informazioni non commentate né inquadrate nel contesto generale che le ha derivate. E’ stata attivata una forma di “liberalismo informativo” apparentemente moderno ed evoluto ma di fatto pericoloso in quanto foriero di spunti cognitivi avulsi dal contesto generale delle realtà che possono aver dato origine ai contenuti divulgati. Non è , quindi, azzardato affermare che siamo di fronte ad una forma evolutiva del concetto di terrorismo inteso come atto destabilizzante piuttosto che azione cruenta di tipo militare. Una penetrazione silenziosa nel substrato sociale occidentale e del mondo orientale ad esso alleato, che si accompagna all’azione avviata da tempo per colpire le generazioni emergenti attraverso la diffusione della droga. Una conferma che il terrorismo internazionale dispone di altre forme di offesa forse più efficaci dell’esplosivo, tali da incidere significativamente sulla sicurezza globale. In questo contesto il sito di Julian Assange fondato nel 2006 con lo scopo di garantire i diritti umani ed il diritto di informazione ha fallito nel proprio scopo. La divulgazione come segreti di documenti che per la maggior parte rientrano nella routine della diplomazia internazionale rappresenta, infatti, una vera e propria minaccia alla stabilità globale ed alla sicurezza delle singole persone nel momento che gli atti pubblicati sono più vicini a forme di gossip piuttosto che essere caratterizzati da contenuti politici costruttivi. Atti che, però, potrebbero rappresentare oggetto di stimolo per forme di esaltazione collettiva sicuramente non favorevoli per la stabilità internazionale e per l’integrazione delle diverse culture e religioni. Divulgare, infatti, notizie avulse da ogni contesto contingente è assolutamente pericoloso ed assimilabile ai video clip di Bin Laden quando inneggia alla jahad ed al terrorismo internazionale.
29 novembre 2010

2 commenti:

Piero Laporta ha detto...

La tracciabilità d’ogni top secret è totale. Se sfuggono in massa è per mimetizzare i due o tre papelli indirizzati sull’obiettivo vero, Silvio Berlusconi.
Come si realizza tecnicamente la bufala di Wikileaks? I documenti sono filtrati legalmente verso uno o più paesi fidati, l’«Echelon club» per intenderci, la super Nato che raccoglie i paesi WASP (White, Anglosasson, Protestant), a egemonia bianca, anglosassone e religione protestante. Da lì a organizzare una finta fuga di documenti, attraverso una rete non collegabile a Washington, il passo è breve. Nello stesso tempo a Washington attivano i canali legali – la legalità innanzi tutto, si sa - per incriminare Julian Assange, il patron di Wikileaks, genio, ma fesso come tutti i geni. Avrà un incidente mortale o andrà in galera e nessuno potrà intervistarlo, non appena l’operazione contro Silvio Berlusconi sarà conclusa, o piuttosto naufragata.
Se Berlusconi non avesse l’amicizia di Putin sarebbe finito come Giovanni Leone, Aldo Moro e altri di fede occidentale. L’avidità dei malvagi non è mutata; tempi e scenari invece sì. Washington e Londra lo capiranno quando sarà troppo tardi, come al solito.

Piero Laporta ha detto...

Troppe parole vane contro Julian Assange da parte del responsabile della Farnesiana e, all’opposto, troppa melassa mediterranea da Ignazio Larussa, che dovrebbe preoccuparsi per la sicurezza dei suoi uomini in Afghanistan.
Che cosa dovrebbe fare Franco Frattini, ministro degli esteri d’uno stato sovrano?
Primo. Convoca l’ambasciatore degli Usa a Roma e, presentandogli una nota di protesta scritta per l’oltraggio gratuito al capo del governo italiano, alleato e impegnato nella stessa guerra, ritira il gradimento all'incaricata d'affari americana a Roma, Elizabeth Dibble, alla quale si intima di lasciare Roma immediatamente.
Secondo. Esige che il presidente degli Stati Uniti rivolga al presidente del Consiglio italiano pubbliche scuse per l’incidente occorso ai sistemi di trasmissione della diplomazia statunitense e per i giudizi espressi dalla signora Dibble, “che non sono certamente condivisi dal presidente degli Stati Uniti”.
Terzo. Annuncia che se le scuse al presidente del consiglio Silvio Berlusconi non giungeranno entro 48 ore dalla convocazione dell’ambasciatore, l’Italia avvierà immediatamente il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan. Tale passo è urgente sia perché siamo stati oltraggiati, per di più mentre siamo in guerra, dall’alleato che ha maggiore interesse alla nostra compartecipazione, sia perché la carenza d’un atto riparatorio formale certifica, da parte statunitense, la sottovalutazione del pericolo, che grava sulle truppe italiane in guerra, per la conclamata e ingravescente penetrabilità degli archivi diplomatici statunitensi.
Quarto. Fa riserva, sulla base degli sviluppi del precedente passo, di provocare la convocazione straordinaria del Consiglio Atlantico e di indirizzarne l’agenda, al fine di esaminare le condizioni di sicurezza delle operazioni NATO in corso.
Questo è quello che fa un paese sovrano e dignitoso. Poi se si vuole continuare col vociare da ballatoio, maggioranza e opposizione una volta tanto insieme, si faccia pure, ma in tal caso si dà ragione a Julian Assange e alla signora Dibble.