domenica 30 gennaio 2011

Egitto, rivolta per il pane o rivolta islamica

Come era prevedibile e come previsto fin dall’inizio in queste pagine, il vento di fronda partito dal Maghreb ha raggiunto l’Egitto e sta già toccando la Giordania e lo Yemen mentre la Libia si affanna a sminuire gli avvenimenti nella speranza che l’onda anomala non raggiunga anche Tripoli. Molti interrogativi cominciano a prendere corpo sulle motivazioni che hanno portato all’improvvisa esplosione della rabbia delle popolazioni islamiche africane che si affacciano sul Mediterraneo. Moltissime le ipotesi fra cui quella di un coinvolgimento dei governi occidentali, primo fra tutti quello americano. Se così fosse siamo di fronte ad un vero e proprio autogol di tutto l’Occidente che avrebbe spinto la piazza ad insorgere proprio nei Paesi islamici alleati e che negli anni hanno avuto il ruolo di ammortizzatore nei confronti dell’islam integralista. Primo fra tutti l’Egitto da sempre punto di riferimento per le mediazioni di pace nell’area, in particolare nei rapporti di Israele con la Palestina. Gli eventi, comunque, sono sicuramente imputabili ad un fallimento della politica dell’Occidente ed in particolare di quella USA a cui l’Europa ha sempre assistito passivamente pur essendo coinvolte aree strategiche a ridosso dei propri confini meridionali. Un atteggiamento vicino a quanto avvenuto a partire dal 1992 in occasione delle vicende dei Balcani e che forse si ripresenta all’orizzonte con quanto sta accadendo in questi giorni in Albania. Obama ed il suo Segretario di Stato non hanno preso posizione nei riguardi degli avvenimenti tunisini ed ora rischiano di perdere anche l’Egitto, favorendo sempre di più l’isolamento dell’alleato Israele e lasciando che i Fratelli Mussulmani si avvicinino a Suez. Evento che segnerebbe una vittoria importantissima per il fondamentalismo islamico che potrebbe estendere il proprio controllo sul cordone ombelicale che collega il Golfo di Aden all’Europa e consolidare il link con chi dallo Yemen e dalla Somalia cerca di esercitare da tempo il controllo delle rotte energetiche verso l’Occidente. In tale ottica è assolutamente pericoloso limitarsi a definire “rivolta per il pane” le motivazioni che hanno risvegliato le piazze tunisine, egiziane, giordane ed yemenite, assopite per 30 anni dalle gestione dei loro Presidenti fino ad ieri amici dell’Occidente. L’integralismo islamico, invece, potrebbe approfittare di questa situazione e le popolazioni che tentano di uscire da dittature nepotistiche sarebbero di nuovo condizionate dall’azione degli “intellettuali religiosi” notoriamente abili manovratori di queste folle. Se ciò avvenisse non ci saranno più rivendicazioni indotte dal malessere sociale. Il popolo sarà invece destinato a diventare massa di manovra per raggiungere scopi estremistici ed sarà elevata la probabilità del coinvolgimento di altre popolazioni africane di religione islamica. Il mondo Occidentale ed in particolare l’Europa si limitano ad osservare senza esercitare la dovuta pressione politica sugli alleati di ieri lasciando che la situazione incancrenisca con il rischio di favorire un ulteriore consolidamento dei legami dell’islamismo estremistico mondiale, dall’Indocina all’Albania passando per il Centro Asia. Teheran è alla finestra ed attraverso il portavoce del proprio Ministero degli Esteri ha già definito le proteste in Egitto coerenti con “un’ondata islamica” che vuole giustizia. Nella circostanza, anche due Premi Nobel per la Pace disattendono alla missione morale a cui invece sarebbero deputati. Obama sta regalando l’egemonia Medio Orientale ad Iran e Turchia mentre l’egiziano Mohamed El Baradei, ex Direttore dell’AIEA, si limita a proclami dove la parola “intifada” torna a dominare la scena quando afferma pubblicamente “Se il regime di Mubarak non cade, l’intifada del popolo continuerà“. Forse è urgente che i governi occidentali trovino la strada per evitare la destabilizzazione dell’Egitto e lo sconvolgimento della geopolitica mondiale.
30 gennaio 2011 - ore 11.30

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