giovedì 31 marzo 2011

Probabilmente anche in Libia Uranio Impoverito

Da quasi una settimana si vocifera che anche in Libia siano impiegate armi all’Uranio Impoverito. Una certezza per quanto attiene alla prima fase delle ostilità iniziate in difesa della risoluzione ONU n. 1973, con il lancio di circa 200 missili Tomahawk. I vettori, costruiti dalla Raytheon Company e Mc Donnel Douglas statutinensi ed ideati a metà degli anni ’70, fanno parte delle così dette “armi intelligenti” a disposizione degli USA e portano un’ogiva che contiene parti (almeno 80 submunizioni) realizzate con Uranio Impoverito (Depleted Uranium - DU), che all’atto dell’impatto si polverizzano nell’ambiente. Dal 27 marzo risulta che in teatro siano utilizzati anche gli aerei A-10 efficacissimi per gli attacchi al suolo in particolare contro obiettivi protetti. L’A-10 è armato con un cannoncino GAU-8/A in grado di erogare un’elevata potenza di fuoco. Nel caso di attacchi contro carri armati o bunker è previsto che il cannone spari munizionamento all’Uranio Impoverito. Pallottole che usano un rivestimento di alluminio invece dell’usuale acciaio o piombo. Pesano circa 695 gr ed hanno al vertice un penetratore (sabot) realizzato con DU per ottenere un elevatissimo potere perforante garantito dall’alto peso specifico del materiale e dalla sua proprietà di sviluppare elevatissime temperature all’atto del contatto con il bersaglio. La munizione è in grado di perforare considerevoli spessori di protezione anche se realizzati con acciaio balistico ed all’impatto produce polveri sottili di metalli pesanti ed ossidi di uranio ad alta tossicità chimica. Polveri che se ingerite o inalate da chi si trova nei pressi del target o vi si avvicini anche dopo giorni dall’avvenuta distruzione, possono provocare gravi danni all’organismo. Analogamente le schegge di DU non polverizzato una volte disperse sul terreno possono raggiungere le falde acquifere o interferire con la catena alimentare determinando nel tempo una seria minaccia per la salute pubblica. Il primo ministro britannico David Cameron e l’Ammiraglio statunitense Gortney hanno recentemente dichiarato che le armi contenenti Uranio Impoverito non hanno trovato spazio nel conflitto libico, ma le immagini che arrivano dal terreno inducono qualche dubbio. Molti dei carri armati libici colpiti presentano, infatti, una tipologia di danni del tutto analoga a quella di mezzi similari distrutti precedentemente con munizionamento al DU come avvenuto durante la prima Guerra del Golfo in Kuwait e successivamente in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo ed in Iraq. Territori in cui il ruolo dei missili Tomawak e degli A-10 è stato spesso determinante per sconfiggere l’avversario, come potrebbe avvenire ancora una volta in Libia. Queste ipotesi non possono, però, rimanere tali considerando l’importanza dei contenuti. Piuttosto è auspicabile che le Nazioni Unite assumono immediatamente un ruolo determinante perché azioni compiute per imporre il rispetto di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza a difesa della popolazione civile non inducano, invece, rischi per i civili costretti a convivere con l’episodio bellico. Proibendo formalmente l’utilizzo di Uranio Impoverito o altro materiale similare si ridurrebbe il pericolo che ancora oggi caratterizza molti territori emergenti da conflitti ed indotto dalla presenza di residuati bellici. Un impegno che dimostrerebbe una sensibilità dell’ONU troppo spesso disattesa nel passato e che andrebbe a totale vantaggio delle popolazioni e dell’impegno economico che dovrà essere affrontato al termine del conflitto per ricostruire e per bonificare il territorio da tutto ciò che la guerra ha lasciato ancora attivo sul suolo (ERW - Explosive Remants of the War). 31 marzo 2011 - ore 16.00

domenica 27 marzo 2011

La rivolta araba non si ferma

Avevamo paventato fin dall’inizio che gli eventi nel Maghreb e lo Tsunami del mondo arabo non si sarebbe fermato ed avrebbe oltrepassato il Mediterraneo. Purtroppo il pessimismo a suo tempo manifestato si sta presentando come una triste realtà. Mentre l’attenzione del mondo è concentrata sulla Libia, a Sanaa, a Damasco, a Manama e presto forse anche in Arabia Saudita la popolazione “improvvisamente” ha preso coscienza di essere oppressa da dittature ereditarie ed è scesa in piazza. I regimi minacciati hanno applicato una regola comune, quella di reprimere con la forza le manifestazioni del dissenso, uccidendo la gente alla stessa stregua di quanto fatto da Geddafi e superando di gran lunga le reazioni dei deposti Ben Alì e Mubarak. L’Occidente ed in particolare gli Stati Uniti in passato hanno appoggiato i governi ora contestati dalla popolazione anche di fronte a situazioni palesemente non garanti la difesa dei diritti umani delle popolazioni. Come dimenticare l’inerzia dell’ONU per le palesi prevaricazioni dei diritti sociali elementari come la rivoluzione iraniana del 1979, i massacri attuati dai gruppi di fondamentalisti islamici algerini, la politica del Presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, le vicende di Gaza dl 2006, le azioni dei Fratelli Mussulmani ed i recenti accordi fra La Siria e l’Iran con un palese interesse per un Afghanistan sicuramente non moderato. Quella stessa Comunità internazionale che dopo la liberazione del Kuwait abbandonò gli sciiti dell’Iraq alla loro sorte dopo averne incoraggiato la rivolta contro Bagdad e che guardò disinteressata all’uso delle armi chimiche contro i curdi, oggi si preoccupa giustamente dei diritti della popolazione libica minacciata dalle repressioni dei rais, ma sembra non accorgersi che il Presidente siriano, quello yemenita ed il Sultano del Barhain ordinano di sparare sulla folla che manifesta. Una serie di preoccupanti avvenimenti che stanno avvenendo in aree strategicamente sensibili per la sicurezza europea, in particolare la Siria che deve affrontare il diffuso senso di stanchezza che coinvolte ormai quasi tutta la società siriana nei confronti dell’arroganza del potere, le differenti rivendicazioni che arrivano dai diversi livelli della società ed il pericolo che i nemici interni del regime potrebbero approfittare degli eventi per accelerare la fine del Presidente. Ciò che è iniziato nel Maghreb sta coinvolgendo tutto il Medio Oriente ed induce in tutto il mondo occidentale il timore per un possibile risveglio del terrorismo islamico su scala globale. Un’eventualità da non sottovalutare in quanto avvenimenti come quelli tunisini, egiziani e libici, accompagnati dagli accadimenti siriani ed yemeniti lasciano aperte le porte a possibili vuoti di potere che potrebbero favorire il radicarsi di ben altre forme di tirannia. L’Unione Europea con molto ritardo si occupa solo di Geddafi evidenziando peraltro sostanziali divisioni fra i singoli Stati membri che spingono a dubitare sulla reale volontà di tutti di agire solo per raggiungere gli scopi fissati dalla risoluzione 1973. E’ palese che la Coalizione internazionale appoggia i ribelli libici nel momento che bombarda le truppe di Geddafi anche se in ritirata, con una scelta che nel medio termine potrebbe risultare pericolosa per la sicurezza internazionale. Per ora né Al Qaeda né altri gruppi terroristici sembra che abbiano avuto un gioco rilevante nelle dimostrazioni di piazza, ma potrebbero averlo nell’immediato futuro quando la gente cercherà di pretendere ciò che l’ha spinta a ribellarsi al potere. L’interesse dei vari Bin Laden per le vicende in corso potrebbe acuirsi improvvisamente nel momento che la ventata di democrazia della società islamica potrebbe intaccare la loro visibilità. Peraltro, l’instaurarsi di improvvisi assetti democratici dove per decenni il popolo ha dovuto sopportare vessazioni tiranniche potrebbe non ottenere i risultati sperati ed indurre, invece, frustrazione in chi si è impegnato anche a rischio della propria vita. Eventualità che rappresenterebbero un’occasione per i gruppi terroristici o per l’affermazione di formazioni di estremisti interessate a sostituire i tiranni esiliati. L’Occidente, quindi, dovrà farsi carico di aiutare a crescere queste nuove realtà emergenti con equidistanza nei confronti delle varie realtà locali. Un impegno in cui il ruolo dell’Europa prossima più di altri alle aree di crisi dovrà essere preminente con lo sviluppo di concrete azioni di capacity building destinate a sostituire nell’immediato l’intervento militare ed a riprendere il tradizionale colloquio con le comunità islamiche. 27 marzo - ore 17.00

mercoledì 23 marzo 2011

Vicende libiche: un’ulteriore assurdità

Interpretando una risoluzione ONU, è iniziato dal 19 marzo u.s. l’attacco militare in territorio libico con la compartecipazione autonoma e scoordinata di forze militari di almeno quattro diverse Nazioni. Il risultato delle prime ore dell’azione è stato la distruzione di qualche carro armato libico scelto come obiettivo prioritario da venti velivoli da combattimento francesi. Un esito di facciata assolutamente privo di efficacia operativa e dall’altissimo rapporto di costo / efficacia, che fin dal primo momento ha fatto capire che ognuno avrebbe agito per essere “il primo a porre la propria bandierina in vetta alla montagna”. Immediatamente dopo, nei cieli della Libia hanno iniziato ad incrociarsi aerei da combattimento, missili da crociera e quanto altro di sofisticato reso disponibile dalla moderna tecnologia militare, senza che si potesse fare riferimento ad un’unica centrale di coordinamento. Da quel momento ciascuna componente militare nazionale ha deciso rotte, obiettivi, modalità di applicazione della risoluzione delle Nazioni Unite senza che fosse stato designato un gestore unico delle operazioni. Azioni sviluppate in completa autonomia limitata in talune circostanze da iniziative nazionali dei paesi coinvolti che si sono appropriati della gestione imponendo obiettivi, modalità e procedure. E’ difficile individuare nella storia militare altri momenti in cui un intervento militare multinazionale sia stato portato avanti senza prima designare la struttura di comando e controllo deputata a decidere le azioni da compiere e gli obiettivi da raggiungere, garantendo la sicurezza degli attori sul campo ed il rispetto della volontà internazionale manifestata attraverso le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un unico gestore che fosse responsabile di fronte alla comunità internazionale e garantisse il pieno rispetto del diritto internazionale e di quello umanitario. Un esempio negativo che ancora mancava nella storia militare del mondo. Un modello che potrebbe creare precedenti pericolosi e che induce più di un dubbio. Il primo è più importante l’interrogativo se nell’immediato futuro la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo non saranno destinate ad essere minacciate unicamente dai vari Mubarak, Ben Alì o altri sanguinari dittatori come Geddafi, ma anche da chi nel nome della democrazia si sente autorizzato a gestire autonomamente azioni militari con il coinvolgimento dello strumento militare di differenti sovranità nazionali.

23 marzo, ore 22.00

lunedì 21 marzo 2011

Le incongruenze internazionali

Quanto sta accadendo in Africa settentrionale e sta propagandosi nel Medio Oriente dimostra un’inerzia della politica internazionale sicuramente non garante dello sviluppo di democrazie nascenti e della sicurezza mondiale. Un’affermazione che potrebbe sembrare azzardata senza rileggere in successione gli avvenimenti che si stanno accavallando dall’inizio dell’anno e che si ripropongono per punti.
1. La piazza caccia Mubarak dall’Egitto e Ben Alì dalla Tunisia aprendo di fatto la strada alla democrazia, anche se il futuro rimane molto incerto.
2. Migliaia di migranti - tutti di sesso maschile - lasciano la Tunisia liberata dal dittatore forse per sfuggire ai venti di democrazia. L’Europa assiste al flusso migratorio che aumenta giorno dopo giorno e coinvolge i suoi confini meridionali, ma non dimostra di voler affrontare il problema. Un’Unione Europea che dispone dell’Agenzia FRONTEX, voluta proprio per occuparsi di sicurezza delle frontiere degli Stati Membri
3. L’ONU, gli USA ed in particolare l’Europa assistono agli eventi limitandosi a lanciare proclami fino al 17 marzo, quando il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ratifica la risoluzione 1973 con lo scopo di salvaguardare la popolazione libica oggetto di repressione da parte del regime di Geddafi.
4. Il 19 marzo si riuniscono a Parigi i Capi di Stato, il Segretario delle Nazioni Unite ed il Presidente della Lega araba per decidere sugli interventi contro Geddafi nel rispetto della 1973.
5. Mentre si discute si alzano in volo gli aerei francesi che raggiungono gli obiettivi alle 17,45 dello stesso giorno superando un braccio operativo di almeno 3 ore.
6. Mentre a Parigi si parla, a Sanaa nello Yemen la gente manifesta lasciando sul terreno 52 morti e 127 feriti (fonte ANSA). Contemporaneamente la stessa cosa avviene in Siria con 4 morti e decine di feriti accompagnati da altri manifestanti uccisi in Barhein.
La comunità internazionale sembra non accorgersene e guarda attenta solo a ciò che sta avvenendo in Libia.
7. Obama, Premio Nobel per la Pace, annuncia di aver autorizzato un'azione militare “limitata” contro la Libia, ed in applicazione della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU autorizza un primo lancio di 110 missili Tomahawk.
8. I bombardamenti della Libia sono appena iniziati con una grande risonanza internazionale che ha coinvolto tutto il mondo islamico. Dopo 2 giorni nello Yemen si torna a morire e nel nome della democrazia 20 manifestanti perdono la vita.

Una serie di avvenimenti che forse meriterebbero un approfondimento attraverso il confronto delle opinioni.
21 marzo, ore 15.00

domenica 20 marzo 2011

Gheddafi minaccia il Mediterraneo

In nome della democrazia e della libertà l’Occidente sta attaccando militarmente la Libia chiedendo al popolo libico un ulteriore sacrificio dopo che da settimane è minacciato dalla repressione di Gheddafi. Un’iniziativa che nonostante le osannate “armi intelligenti e selettive” non potrà che coinvolgere anche la popolazione civile che l’interventismo dell’ONU intende difendere proprio con l’azione militare. Un rischio elevatissimo in particolare quando l’attacco non è accompagnato dalla presenza sul territorio di Forze Speciali che in qualche modo possano “guidare” l’azione aerea. Distruggere un carro armato nel deserto non comporta rischi di danni collaterali, ma un’altra cosa è colpire obiettivi nella periferia di Tripoli o di Bengasi senza provocare vittime civili. Il Mediterraneo è tornato a rivivere vicende del passato come quando nel 1999 il Kosovo fu attaccato per iniziativa degli USA del democratico Clinton e prima che l’ONU autorizzasse qualsiasi intervento. A distanza di 10 anni un altro democratico, Obama titolare del Premio Nobel della Pace, decide di partecipare all’azione militare per garantire democrazia alla popolazione libica, disponendo il lancio di 100 missili Cruise ! Gheddafi risponde minacciando apertamente ritorsioni in tutta l’area mediterranea dove l’Italia e Malta, per dislocazione geografica rispetto a Tripoli, rappresentano gli obiettivi di più semplice acquisizione. Parole del rais sicuramente dettate dalla disperazione di un dittatore che si vede circondato ed è orami “stretto alle corde”, ma che non possono e non devono essere sottovalutate. La minaccia è, infatti, reale. Può coinvolgere obiettivi civili occidentali con azioni terroristiche attuate da cellule che potrebbero aver già raggiunto il territorio europeo infiltrate nella massa migratoria che dall’Africa settentrionale ormai quotidianamente e da oltre un mese sta varcando i confini meridionali dell’Europa. Esiste, inoltre, la vulnerabilità militare di parte del territorio italiano come Lampedusa, Linosa e Pantelleria e della stessa isola di Malta. La Libia, infatti, dispone di un potenziale bellico di origine sovietica che anche se obsoleto ha caratteristiche balistiche tali da poter minacciare - seppure al limite - il territorio italiano e maltese. Sul territorio libico fin dal 1985 sono schierate postazioni di missili sovietici SA-5, sistemi anti aerei potenzialmente in grado di colpire un bersaglio ad una quota di 30.000 metri con un raggio teorico di 250-300 km. Lampedusa dista dalle coste settentrionali libiche circa 285 km al limite della portata di un SA-5 se lanciato da terra, ma abbastanza vulnerabile se la rampa di lancio del missile venisse montata su una piattaforma navale gestita da specialisti militari esperti. Un’eventualità remota ma che non può essere scartata a priori con un approccio ottimistico esasperato, pericoloso perchè fuorviante l’analisi della possibile minaccia. Gheddafi sicuramente si sente minacciato, ma da 40 anni dimostra di essere capace di colpi di coda con reazioni impreviste e significative, in particolare sul piano terroristico. Se le azioni in corso non raggiungeranno rapidamente i risultati voluti, la popolazione libica sarà costretta a vivere fra due fuochi; quello del rais che cerca di riprendere il potere e quello delle azioni aeree delle Forze aeree occidentali destinate a coinvolgere civili in particolare negli attacchi ad obiettivi prossimi alle città. L’azione militare deve quindi essere condotta nel modo più rapido possibile ed avrà raggiunto lo scopo solo se nelle prossime 24 - 48 ore provocherà lo sgretolamento della struttura politica e di potere di Gheddafi, allontanando così il rischio di ritorsioni libiche, in particolare terroristiche.

20 marzo 2011 - ore 11,00

giovedì 3 marzo 2011

Il sogno di democrazia in Africa settentrionale è ancora lontano

Quanto sta avvenendo in Libia lascia presagire che il Paese e tutta l’Africa settentrionale corrono il rischio di piombare in un futuro in cui il popolo sarà ancora una volta gestito con approcci lontani dal concetto moderno di democrazia. Una situazione simile a quella che caratterizzò l’Afghanistan alla fine del 1989 e rese possibile l’avvento radicale dei Talebani. Ancora peggio se, come avvenuto in Somalia agli inizi degli anni ’90, i libici fossero costretti a vivere in “uno Stato senza Stato”. Molti i segnali che inducono preoccupazione che ciò possa accadere sotto la spinta di organizzazioni islamiche radicali che probabilmente già stanno tentando di inserirsi e prendere il posto dei deposti presidenti. Un’involuzione che forse i tunisini, gli egiziani e i libici già intuiscono e dalla quale tentano di fuggire prima che sia troppo tardi. Passata l’euforia del primo momento, infatti, si stanno manifestando condizioni che non lasciano presagire un’immediata e auspicata evoluzione delle condizioni di vita in cui l’eguaglianza, la parità dei diritti e la libertà individuale possano prevalere su quella che fino ad oggi è stata “la ragion di Stato”. Equilibri sociali senza i quali non si potrà mai parlare di vere realtà democratiche in cui uomini e donne possano avere ruoli di pari dignità e concorrere allo sviluppo socio culturale della loro Nazione. Alle incertezze sociali si aggiungono quelle politiche dei nuovi Governi. In Tunisia i manifestanti seguitano a gestire le sorti del Governo provvisorio costringendo il Primo Ministro a dimettersi. In Egitto i militari al potere, fino ad ieri fedeli alleati degli USA da cui negli ultimi venti anni hanno ricevuto enormi finanziamenti, confermano i trattati di pace con Israele ma, nello stesso tempo autorizzano il passaggio di Suez a navi da guerra iraniane pronte a posizionarsi al largo delle coste israeliane per monitorare il paese con le loro attrezzature elettroniche. In Libia i veterani afgani reduci dalla Bosnia che nel 1997 avevano costituito il “Gruppo Combattente Libico” e si erano nascosti nelle montagne della Cirenaica, hanno gestiti per primi la rivolta a Bengasi ed a Tobruk. Gheddafi resiste e minaccia l’Occidente sul piano economico preannunciando di assegnare alla Cina ed all’India la gestione delle risorse energetiche. L’ONU, gli USA e l’Europa si limitano a sancire sanzioni nei confronti della Libia che, come avvenuto in altre occasioni, probabilmente saranno destinate a non essere rispettate o a penalizzare solo la popolazione. Il popolo vede allontanarsi la sperata democrazia, intuisce il rischio di una implosione e si prepara ad emigrare pur consapevole che Gheddafi è destinato ad essere sconfitto. Molti temono, infatti, che la Libia possa cadere nelle mani di pirati, predoni e terroristi “alquaedisti” come avvenne nella Somalia del dopo Siad Barre. Organizzazioni che posizionate sul Mediterraneo e non lontane da Suez, potrebbero stabilire un network terroristico con la pirateria somala che opera nel Golfo di Aden, ricattando le economie occidentali e minacciando la stabilità di tutto il bacino mediterraneo, in primis Israele e l’intera Europa.

3 marzo 2011 - ore 17,00