martedì 27 settembre 2011

Allarme in Libia per possibili armi chimiche

In Libia la situazione non si sblocca. La potente macchina da guerra della NATO sembra non essere in grado di dare il colpo di grazia alle truppe fedeli a Gheddafi ed i ribelli segnano il passo sotto il fuoco dei cecchini. Gheddafi dimostra di non essere alla corda ed ogni tanto riappare rinnovando le sue minacce all’Occidente. Lo scenario rischia di diventare sempre di più un pantano, simile a quello in cui l’Occidente è rimasto invischiato in altre occasioni. La situazione stalla mentre cresce sempre di più l’apprensione che aggressivi chimici, a suo tempo prodotti da Gheddafi ed ancora nascosti nel deserto libico, possano cadere nelle mani di malintenzionati. Ipotesi non confermate né tantomeno smentite dall’Intelligence Occidentale che schierata da mesi sul territorio libico, sta dimostrando qualche problema nell’individuare gli obiettivi di importanza strategica di cui i fedeli del Rais, nonostante tutto, riescono ancora a difenderne l’ubicazione e la segretezza. Lo stesso Consiglio Nazionale di transizione della Libia ha denunciato fin dai primi giorni della rivolta che Gheddafi aveva prodotto tonnellate di gas tossici in una fabbrica di Rabat, a sud ovest di Tripoli, a conferma di quanto reso noto nel 1988 dagli USA. Quantitativi in parte distrutti da Gheddafi, ma di cui dovrebbe ancora esistere una disponibilità del 10% nascosta probabilmente in depositi affidati alla custodia di Tribù vicine al regime, come i Khadafa ed i Magarha alleati dei Tuareg, concentrati nell’area nord occidentale della Libia. Ancora tonnellate di agenti tossici fra cui l’iprite (gas mostarda) ed i potenti gas nervini del tipo di quelli utilizzati negli attentati nella metropolitana di Tokio del 20 marzo 1995. Anche l’ONU ha iniziato a lanciare specifici allarmi sulla possibile presenza in Libia di depositi di agenti chimici. Lo fa ufficialmente per il tramite di Lynn Pascoe, Capo Ufficio politico delle Nazioni Unite. Pascoe conferma la preoccupazione sulla possibile esistenza di depositi militari abbandonati, nei quali potrebbero essere conservati agenti tossici non distrutti dal regime libico entro l’estate del 2010, come previsto dagli accordi internazionali. Materiale che potrebbe cadere nelle mani delle cellule di Al Qaeda presenti nel Mali e collegate a quelle operative nel Magreb, che da tempo, come ormai accertato, gestiscono il contrabbando di armi recuperate nei magazzini abbandonati dalle truppe fedeli a Gheddafi. Sostanze che insieme a quelle radioattive trovate in questi giorni a Sabha insieme a maschere anti gas e tute protettive, (notizia confermata dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica – AIEA), potrebbero essere facilmente utilizzate per la realizzazione di ordigni terroristici sporchi (Dirty bomb), con conseguenze catastrofiche rispetto agli effetti degli attentati dell’11 settembre. Ordigni che - anche solo perché possibili – rappresenterebbero per la comunità internazionale una minaccia ricattatoria dalle conseguenze difficilmente valutabili. La preoccupazione è lecita e non può essere sottaciuta. Si auspica, quindi, che i sofisticati sistemi di sorveglianza del territorio messi in campo dalla NATO insieme all’auspicabile network dell’Intelligence occidentale che ormai dovrebbe coprire tutto il territorio libico, possano individuare rapidamente i siti e distruggerli, evitando che in futuro possano nascere sospetti tipo quelli che portarono all’intervento Anglo – americano contro l’Iraq.

27 settembre 2011 – ore 15.00

giovedì 22 settembre 2011

Al – Zarqawi e la seconda generazione di Al Qaeda

L’egiziano Ayman al – Zawahiri vuole confermare la sua leadership ereditata da Bin Laden e lo fa attraverso una serie di attentati ed omicidi che stanno insanguinando l’Afghanistan ed il Pakistan. A Kabul l’omicidio eccellente di ieri che ha avuto come vittima Burhanuddin Rabbani e che ricorda molto quello di Massud, il “Leone del Pansjhr” che dopo aver contribuito significativamente a cacciare l’invasore sovietico, sognava un Afghanistan libero dal gioco dei Talebani e da Bin Laden. Rabbani, ex Presidente dell’Afghanistan dal 1992 al 1996 quando fu esiliato dai Talebani, presiedeva l’Alto Consiglio della Pace voluto da Karzai per accelerare la stabilizzazione politica del Paese. L’attentatore suicida ha agito in modo pressoché analogo a quanto avvenuto il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle, quando due falsi giornalisti uccisero Massud azionando una bomba nascosta in un telecamera. Questa volta un uomo ha chiesto di incontrare Rabbani per trattare alcuni aspetti sulla futura pace ed abbracciando la vittima designata, si è fatto saltare azionando una bomba nascosta nel turbante. L’evento segue l’attacco coordinato contro l’ambasciata USA ed il Comando NATO a Kabul, attribuito al clan di Haqqani di cui fanno parte gli estremisti afgani e dopo altri decine di micro episodi terroristici concentrati nelle ultime due settimane in Pakistan. L’esplosione di una bomba durante un funerale, un attentato su un mezzo pubblico che ha provocato molte vittime fra cui diversi bambini, vari attacchi alle moschee e contro la folla che tradizionalmente frequenta ogni giorno i bazar. Contemporaneamente un segnale del risveglio del terrorismo in Turchia con un attentato ad Ankara, che ieri ha ucciso tre persone e ferite altre 15. Un atto che il governo turco si è affrettato ad addebitare al PKK e compiuto mentre il Presidente Recef Tyyip Erdogan si sta proponendo come riferimento politico delle popolazioni protagoniste della primavera araba. Il “Partito dei Lavoratori del Kurdistan”, emanazione di un’organizzazione maoista di Ankara e caratterizzato da una spiccata connotazione marxista – leninista che, in passato, è stato protagonista in Turchia della lotta clandestina contro il governo istituzionale. Se venisse confermata la matrice dell’attentato ad Ankara, si deve prendere atto che due entità eversive, Al Qaeda ed il PKK, pur caratterizzate da differenti posizioni ideologiche, stanno applicando tecniche eversive per scopi molto simili: compiere atti terroristici per screditare le istituzioni locali ed indurre la popolazione a ribellarsi. Si ritorna al terrore in Centro Asia coinvolgendo anche la Turchia membro della NATO e dove in questi giorni si constata il risveglio di un approccio “neo ottomano” che potrebbe infastidire il disegno politico ipotizzato da Al Qaeda per l’immediato futuro dell’ Afghanistan e delle aree africane toccate dalla primavera araba. Un risveglio terroristico che si concentra, peraltro, nei giorni in cui l’ONU sta affrontando la richiesta palestinese del riconoscimento come Stato sovrano ed Israele è osteggiata dalla stessa Turchia e dall’ex alleato egiziano. Un insieme di eventi che avvengono mentre il Presidente iraniano Mahumud Ahmadinejad invita il moderato re di Giordania a partecipare ad incontri politici “per affrontare questioni regionali di interesse dei due Paesi” ed attacca l’Italia, la Francia e gli USA definendoli criminali “che per lungo tempo si sono spartiti ed hanno saccheggiato le terre dei Paesi islamici”. Non è quindi azzardato ipotizzare che sulla scena mondiale si stanno configurando nuovi assetti geostrategici che potrebbero lasciare spazio a nuove forme di terrorismo difficilmente prevedibili e concentrate nelle aree dove maggiore è l’incertezza politica ed economica dovuta a cambiamenti di assetto politico. Paesi in cui, peraltro, potrebbero innescarsi condizioni di malessere fra le popolazioni sconcertate per il mancato raggiungimento di illusorie promesse di benessere e democrazia. Al Zarqawi e la nuova nomenclatura di Al Qaeda stanno sicuramente monitorando attentamente l’evolvere della situazione e con altrettanta certezza saranno pronti a riconfermare l’obiettivo iniziale di Al Qaeda. “Uccidere gli americani ed i loro alleati civili e militari è un dovere di ogni mussulmano”, sentenza islamica fondamentalista (fatawa) pronunciata a suo tempo da Bin Laden e di cui si potrebbero appropriare anche realtà islamiche fino ad ora moderate, a totale danno della sicurezza internazionale. Segnali importanti che non possono essere sottovalutati per non correre il rischio di trovarsi ancora impreparati ad affrontare situazioni estreme, come quella dell’11 settembre.
21 settembre 2011 – ore 17.00

venerdì 16 settembre 2011

Al Qaeda non ha abbassato la guardia

Dopo dieci anni dall’attentato alle Torri Gemelle, il terrorismo internazionale è ancora vivo ed in grado di colpire. Il decennale dell’evento terroristico che ha cambiato il mondo è stato appena celebrato, ma i segnali che lo hanno preceduto e seguito non sono incoraggianti. Il messaggio video pubblicato su Internet da Ayman al – Zawahiri, per “commemorare” l’attacco nel cuore degli USA è stato chiaro. Il titolo stesso “l’alba di una vittoria imminente”, celebra il successo della primavera araba in Nord Africa e rivendica il ruolo storico di Al Qaeda per aver favorito l’escalation delle rivolta delle piazze. Nel filmato della durata di un’ora, è ricordato l’attacco alle Torri Gemelle, con parole che preannunciano una ripresa delle attività eversiva. “Sono passati dieci anni dagli attentati di New York, Washington e Pennsylvania ……..ed il popolo arabo è stato liberato dalle catene della paura e del terrore…..la Primavera araba ha dimostrato che gli arabi non temono più gli Stati Uniti e sono pronti alla riscossa….”. Frasi che molti analisti hanno interpretato come un segnale diretto alle cellule di Al Qaeda sparse nel mondo perché favoriscano qualsiasi movimento reazionario; in Asia Centrale, sulle rive del Mediterraneo e nell’Africa subsahariana. Il messaggio è stato immediatamente riscontrato da eventi che non lasciano spazio all’interpretazione. L’attacco a Kabul contro le sedi diplomatiche occidentali, il Comando della NATO e la sede della struttura di Intelligence afgana, è stato compiuto con tecniche terroristiche accompagnate da un vero e proprio coordinamento tattico di guerriglia urbana. Un atto preparato e non improvvisato da schegge impazzite. Piuttosto una dimostrazione di forza sviluppata secondo una pianificazione dettagliata e rivendicata dal network di Haqqani, una fazione afgana che coagula forze eversive locali a vecchi quaedisti. Il giorno precedente alla ricorrenza dell’11 settembre, l’assalto all’ambasciata israeliana del Cairo che ha costretto alla fuga l’ambasciatore di Yitzhak Levanon. Un’offensiva che fonti israeliane addebitano ad elementi legati a Jama’a al Islamica, movimento di fondamentalisti islamici vicino ad Al Qaeda, uscito per la prima volta allo scoperto nel 1981 quando fu ucciso il Presidente egiziano Anwar al-Sadat e protagonista nel 1997 del massacro di turisti occidentali avvenuto nella Valle delle Regine in prossimità di Luxor. Lo stesso Petraeus, da poco responsabile dell’Intelligence USA, ha recentemente manifestato la propria preoccupazione per la frammentazione di Al Qaeda con una disseminazione di cellule nel mondo fra cui un’importante presenza terroristica nella Penisola Arabica, collegata alle strutture eversive da tempo presenti in Yemen e pronta ad interfacciarsi con le componenti africane. L’ex Comandante NATO in Iraq ed in Afghanistan, invita a non sottovalutare la situazione che, secondo le sue valutazioni, è in continuo peggioramento anche per la crescente presenza di terroristici in Somalia dove, giorno dopo giorno, sorgono campi di addestramento per la formazione di potenziali terroristi, molti anche occidentali vicini all’estremismo islamico. Ad Amman i diplomatici israeliani sono stati costretti a fuggire sotto la spinta di imponenti manifestazioni di piazza. Una prova che anche la Giordania, da sempre alleata degli USA e dell’Occidente e distante dal fondamentalismo islamico, ospita ora gruppi di estremisti antioccidentali ed anti israeliani. Quello che in queste pagine è stato definito da tempo “il possibile autunno arabo”, probabilmente è prossimo ad esplodere ed a coinvolgere anche altri Paesi mussulmani moderati, proponendo nuove realtà che potrebbero influire sugli equilibri ancora instabili da poco raggiunti nelle aree mussulmane dell’Africa. Uno scenario in cui attualmente è anche protagonista il Presidente turco, Recep Tyyip Erdogan, impegnato a proporsi come guida della svolta democratica in Egitto, Tunisia, Libia a garanzia della sicurezza in tutto il Mediterraneo Occidentale. Erdogan che gestisce uno degli eserciti più potenti del mondo al quale il defunto Presidente Atatuk aveva affidato la difesa della laicità contro l’estremismo islamico, contrasta ora Israele e nello stesso tempo è pronto ad ospitare in Anatolia un potente radar con evidenti finalità anti iraniane. Un approccio ancora poco chiaro quello della Turchia che seppure proiettata verso l’Europa e membro della NATO, è improvvisamente impegnata in un approccio politico anti israeliano e vicino agli storici avversari di Tel Aviv. Una situazione molto sfumata, difficile da connotare e di cui la nuova nomenclatura di Al Qaeda potrebbe approfittare rinvigorendo la sua azione eversiva questa volta non diretta solo contro l’Occidente, ma anche pronta a colpire la stabilità di quella parte del mondo islamico moderno e moderato che tenta di affermare la laicità della politica, avulsa da qualsiasi forma di estremismo fondato che si richiami al fanatismo religioso.
16 settembre – ore 10,30

domenica 11 settembre 2011

11 settembre 2001. Il mondo ha scoperto il terrore

Dieci anni orsono l'attentato alle Torri Gemelle di New York. Un evento avvenuto quando il mondo già guardava fiducioso al futuro, dopo un XX secolo nel corso del quale si erano succeduti due conflitti mondiali e che aveva segnato la fine della Guerra Fredda. Improvvisamente, invece, si abbatte la scure dell’11 settembre e tutto cambia. Nell'arco di 15 minuti quasi 3000 morti, gente di 90 Nazioni differenti. E’ l’inizio di una nuova era di instabilità ed insicurezza internazionale. Sono trascorsi dieci anni da quel giorno, un arco di tempo non congruo per l’analisi storica di un evento di tale portata, ma sufficiente per fare un punto di situazione sulle implicazioni sociali, antropologiche e geostrategiche che l’accaduto ha determinato. Una prima conseguenza, sicuramente non prevista da chi aveva voluto l’azione terroristica; l’immediato coagulo della comunita' internazionale coesa e determinata come mai a fronteggiare la minaccia su un piano globale. Solo dopo tre settimane i primi bombardamenti sull'Afghanistan per eliminare Bin Laden, l'ideatore dell'attentato, un saudita a capo dell’organizzazione terroristica Al Qaeda, nata negli ani ’80 con il sostegno occidentale, per cacciare l’invasore sovietico da dieci anni in Afghanistan e per accelerare la caduta del regime comunista. La vecchia struttura di Al Qaeda è stata profondamente minata alle fondamenta, ma l’ideologia che l’aveva sostenuta è ancora viva e condivisa dagli estremisti islamici. Il suo leader, lo Sceicco del terrore Bin Laden e' stato ucciso nel momento in cui non rappresentava più il riferimento del nuovo terrorismo nato dalle ceneri delle Torri Gemelle ed affidato alle numerose cellule eversive originate dalla disgregazione della struttura monolitica che aveva pensato ed attuato l’attentato dell’11 settembre. Una polverizzazione destinata nel futuro a mantenere ancora alta la minaccia che in questi anni l’impegno internazionale non è riuscito a cancellare. AL Qaeda si è ristrutturata almeno in altri 40 Paesi. In USA, in Canadà, nei Balcani con una significativa comunità in Bosnia Herzegovina, lungo le coste africane del Mediterraneo e nell’Africa subsariana con una presenza significativa di elementi nel Magreb islamico. Siamo di fronte, quindi ad nuovo network terroristico a macchia di leopardo che praticamente tocca tutti i Continenti. In Afghanistan, affidato ai Talebani più radicali che fanno riferimento al clan degli Haqqani ed al Signore della Guerra Nazir Ahamad. Nella fascia desertica africana che all'altezza dei tropici attraversa la Somalia fino alla Mauritania, operano i quaedisti del Magreb islamico (Aqmi) alleati con le bande criminali che scorazzano nel Niger. Le fazioni Al Shabab mantengono alta la tensione nel Corno d’Africa e sono in costante collegamento con i “fratelli” insediati nello Yemen per minacciare le rotte energetiche che passano per il Golfo di Aden dirette ad Occidente. Nuove realtà che si sono strutturate nonostante l’mpegno politico e militare sostenuto dalla Comunità internazionale in questi dieci anni è stato, per taluni aspetti, anche superiore a quello affrontato durante il Secondo Conflitto Mondiale. La guerra infinita in Afghanistan, la guerra in Iraq e gli atti terroristici subiti a Nassirya, a Madrid ed a Londra, nonchè l’impegno armato in Libia rappresentano gli atti principali. Uno sforzo che però non ha portato alla vittoria definitiva contro il terrorismo, ma, invece, ha condizionato e trasformato la politica estera degli USA e del Vecchio Continente. L’Occidente che fino ad ora aveva dimostrato determinatezza a combattere sul nascere qualsiasi leadership eversiva, è, infatti, oggi costretto ad accettare una serie di compromessi, alcuni di sostanziale importanza come gradire che uno dei vertici militari delle Forze di Liberazione libiche sia Abdle Hkim Belahj, ex militante di Al Qaeda veterano dell’Afghanistan e già ospite di Guantanamo. Oppure, abbandonare in Afghanistan chi ha creduto nell’Occidente ed in Washington pur di convicere i talebani a trattare. Rimanere indifferenti di fronte alla feroce repressione siriana gestita da Bashar Assad fedele alleato dell’Iran e che fino ad ora ha provocato più di 30 mila morti. Rinnegare improvvisamente antiche alleanze, aprendo lo spazio a leadershp non meglio connotate con il rischio di facilitare l’inserimento di entità minoritarie come Hamas, gli Hezbollah e la nuova Al Qaeda che potrebbero vanificare lo sforzo compiuto per l’avvio del processo democratico appena iniziato nei Paesi islamici a ridosso del Mediterraneo. In conclusione, a dieci anni dall’attentato alle Torri Gemelle l’antica Al Qaeda ha subito pesanti sconfitte, ma nuove realtà sono presenti sullo scenario mondiale, alcune forse più pericolose della granitica organizzazione che si rifaceva ai dogmi dello Sceicco del terrore Bin Laden. Un quadro di situazione sicuramente non favorevole per la sicurezza internazionale e reso ancora più complesso dalla repressione del siriano Assad e dall’inversione di tendenza di Paesi come la Turchia. Ad Ankara, Erdogan sta prendendo le distanze dall’Occidente. Se un giorno venisse sconfitto sul piano politico potrebbe diventare un nuovo modello per l’Iran, per Hamas e per gli Hezboillah libanesi. Non seguire attentamente l’evolvere di questa situazione significherebbe commettere lo stesso errore compiuto prima dell’attentato dell’11 settembre 2001, data che, invece, dovrebbe aver insegnato al mondo che il contrasto al terrorismo deve essere soprattutto preventivo.

11 settembre, ore 00.00