giovedì 2 febbraio 2012

Libia, un dopoguerra incerto come quello afgano degli anni ‘90

La fase iniziale del periodo post bellico della Libia ricorda ciò che è avvenuto in Afghanistan subito dopo la fine dell’invasione sovietica. Immediatamente iniziarono feroci contrasti interni con protagoniste le realtà tribali che avevano partecipato alla resistenza contro i sovietici, aiutate nell’azione militare da tutto l’Occidente ed in particolare dagli USA. Una lotta che coinvolgeva i sette principali clan locali, eredi di antiche tradizioni, che potevano fare affidamento su un consistente numero di armi e materiale bellico abbandonato sul terreno dai sovietici in fuga. Instabilità che avrebbe favorito nel breve periodo l’insediamento dei Talebani a Kabul e quello di Al Qaeda e Bin Laden nelle zone confinarie a ridosso del Pakistan. Complice la CIA americana e l’Intelligence pakistana (ISI) ancora oggi protagonista nel favorire ogni possibile inserimento degli studenti islamici nella politica afgana ed in quella pakistana. A distanza di 20 anni, una realtà culturale e territoriale completamente diversa da quella afgana, si accinge a vivere simili momenti. In Libia, subito dopo l’uccisione di Gheddafi le diverse realtà tribali hanno iniziato, infatti, a rivendicare i loro ruoli ed i loro diritti. Pretese prevedibili in un Paese dove il concetto di tribù è stato sempre un elemento chiave della cultura e delle tradizioni della Nazione. Una situazione favorita dalla inconsistenza dell’autorità politica del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) affidato ad Abdel Rahimel Kib che sempre di più dimostra scarsa affidabilità ed incapacità a garantire condizioni minime di stabilizzazione, essenziali per una Nazione emergente da una lunga guerra e che vuole libere elezioni dopo quaranta anni di dittatura. Qualsiasi ultimatum del CNT viene disatteso. Nessuno consegna le armi e le diverse milizie protagoniste della ribellione continuano a fronteggiarsi per la spartizione del territorio. In particolare gli appartenenti alla tribù dei Warfalla, vicina al deposto Rais, che si sta consolidando a Bani Walid, ultima roccaforte del vecchio regime. Anche i diritti umani sono minacciati. Giorno dopo giorno arrivano notizie di episodi di tortura che stanno dilagando nel Paese, denunciati dalle stesse Nazioni Unite e da tutte le Organizzazioni umanitarie impegnate ad aiutare la popolazione. Preoccupa Abdel Hakim Bellhady, noto ex quaedista molto vicino a Bin Laden, ora Comandante militare della piazza di Tripoli dove sono ammassati 8000 prigionieri ai quali, come denunciano le ONG, viene negato qualsiasi diritto, a partire dall’assistenza legale. Molti esponenti del CNT iniziano a riallacciare relazioni con esponenti di spicco del vecchio regime e sono accusati di episodi di malversazione e di cattiva gestione delle risorse economiche. Una situazione fluida, permeata dall’invasione di una pletora di delegazioni diplomatiche straniere, che giornalmente si sovrappongono per stringere rapporti commerciali con il CNT, confermare i vecchi contratti e sottoscriverne di nuovi. Primi fra tutti gli Emirati Arabi che pretendono di investire in Libia nel rispetto di quanto pattuito con l’Occidente guerra durante. Paesi del Golfo proprietari di importanti organi di comunicazione che hanno esercitato un ruolo primario sulle vicende libiche e durante la primavera araba. Prima fra tutti l’emittente televisiva Al Jazira di proprietà dell’Emiro del Qatar. A Tripoli non cessano gli scontri fra le diverse fazioni armate, segnali preoccupanti di un possibile inizio di guerra civile. I tempi della riconciliazione si allontanano sempre di più, mentre fioriscono nuovi movimenti politici. Gruppi religiosi estremistici, nostalgiche aggregazioni monarchiche, entità tribali e regionali non meglio definite, realtà che potrebbero avere un ruolo politico importantissimo per il futuro del Paese. Gruppi che chiedono il ritorno della monarchia senussita sconfitta dal colpo di Stato di Gheddafi del 1 settembre 1969 ed altri che, invece, auspicano l’indipendenza della Cirenaica. Organizzazioni vicine ai Fratelli Mussulmani ed ai salafiti si stanno concentrando in aree orientali del Paese, a Derna, ad Al Bayaala e nelle zone del Gebel Ardan, un tempo fonte di reclutamento di Al Qaeda. L’attuale realtà libica, quindi, ripropone antiche situazioni afgane quando gli USA principali sostenitori dei mujahidin afgani, lasciarono campo libero al giovane Bin Laden protagonista della resistenza contro i sovietici facilitando, di fatto, la nascita della struttura terroristica che avrebbe portato all’11 settembre. Anche in Libia stanno emergendo le conseguenze dei vecchi interessi statunitensi, quando gli USA – come riferito recentemente dal Wall Street Journal – contribuirono al consolidamento fra le montagne della Cirenaica di vecchi combattenti afgani impegnati nella destabilizzazione di Gheddafi e che sarebbero diventati il nocciolo duro della presenza di Al Qaeda nel Paese. Il consolidamento politico di queste forze nella nuova struttura dirigente libica potrebbe contribuire all’affermazione di strutture radicali difficilmente gestibili. Un esempio fra tutti i miliziani Tuareg che hanno combattuto a fianco di Gheddafi e che potrebbero attivare un’eversione sistematica contro chi ha contribuito ad estromettere il Rais. Ribelli che hanno già fondato un “Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawed” (MNLA), regione libica a ridosso dei confini con il Mali, da sempre naturale rifugio dei predoni libici di etnia Tuareg. Lo MNLA potrebbe trasformarsi rapidamente nell’Al Qaeda del terzo millennio, alleandosi con le cellule eversive del Maghreb algerino (AQMI), con l’organizzazione Boko Haram emergente in Nigeria e con i gruppi islamisti appartenenti agli al-Shabaab . Il governo transitorio esita di fronte a queste pericolose realtà emergenti e sopravvive gestendo un fragilissimo equilibrio tra le sue diverse componenti. Una parte consistente e la più forte, rappresentata dai nazionalisti, ex uomini di Gheddafi che hanno abbandonato il Rais all’inizio della rivolta e che, ora, insieme ai fondamentalisti si stanno appropriando della componente laica della Libia islamica. Altre formazioni che aggregano progressisti, monarchici e militari, caratterizzate da una modesta valenza politica. Una realtà post bellica che rispecchia quanto avvenuto durante la rivolta contro Gheddafi che ha visto protagonisti oltre alle milizie organizzate anche bande armate, più esperte in atti di banditismo che in azioni tattiche. Un dopoguerra che vede la prevalenza di estremismi politici che, alla stessa stregua di quanto avvenuto in Afghanistan, potrebbero lasciare spazio a strutture malavitose collegate con le organizzazioni eversive, pronte ad impossessarsi della gestione del commercio della droga e dei disperati che tentano di sfuggire alla povertà ed alle dittature africane. Tripoli e Kabul due realtà culturali, tradizionali, epocali e territoriali assolutamente diverse, ma ambedue terreno fertile per un possibile consolidamento di forze estremistiche che nel futuro potrebbero rappresentare la nuova minaccia per la comunità internazionale. Situazioni molto simili in due Paesi lontani. L’Afghanistan terra di pastori e crocevia di importantissime direttrici strategiche del Centro Asia, essenziali per le economie occidentali. La Libia, fondamentale risorsa energetica per il mondo intero, proiettata sulle rive del Mediterraneo a ridosso dei confini meridionali dell’Europa. Regioni geografiche di importanza cruciale per gli equilibri mondiali, che non possono essere lasciate preda del ricatto dell’eversione terroristica, abbandonando le popolazioni nelle mani di criminali o di propugnatori del fanatismo radicale islamico. E’ essenziale invece, che le diplomazie internazionali si impegnino oltre che a sottoscrivere contratti, a collaborare con il Governo locale perché siano abbandonati gli interessi tribali per favorire l’affermazione delle democrazie liberali a cui quei popoli auspicano, unica garanzia per la stabilità e la crescita economica del mondo. In caso contrario si corre il rischio che in Libia, come avvenuto in Afghanistan, inizi un periodo buio e destabilizzante, quello della guerra civile, con conseguenze difficilmente prevedibili. .
2 febbraio 2012 – ore 09,30

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