Da otto mesi continua un inspiegabile atto coercitivo
dell’India nei confronti di personale militare di uno Stato sovrano, l’Italia. I motivi non
sono chiaramente individuabili anche per
la quasi totale assenza di informazioni ufficiali, per cui si è deciso di
ripercorrere la vicenda facendo riferimento alle sole notizie disponibili,
purtroppo non sempre chiare ed esaustive.
Un’esigenza per cercare di capire meglio un problema che
riguarda esponenti delle nostre Forze Armate, simbolo e garanzia di democrazia.
Un esame che ha rinnovato una serie di dubbi su come è
stato regolato e poi gestito l’impiego di militari con funzioni di
antipirateria marittima a favore di naviglio commerciale nazionale compreso il
management tecnico del contrasto della minaccia specifica (regole di ingaggio),
la consegna dei nostri militari alle Autorità indiane ed l’intero governo degli
eventi immediatamente successivi all’atto di imperio indiano nei confronti
dell’Italia, esercitato disconoscendo qualsiasi regola del diritto
internazionale e delle specifiche convenzioni sottoscritte in ambito Nazioni
Unite.
Valutazioni che naturalmente derivano da analisi deduttive
dei fatti non essendo disponibili riscontri oggettivi che possano configurare
meglio gli eventi e che aiutino a conclusioni supportate da comparazioni tecniche specifiche
su quanto addebitato dagli indiani ai nostri Fucilieri di Marina.
Una serie di domande che purtroppo ancora non trovano
risposta ufficiale, spesso negata per motivi di riservatezza, ragioni ormai forse
esasperate dopo otto mesi dagli eventi ed in prossimità di una sentenza della
Corte Suprema indiana.
Prima fra tutti in termini temporali e soprattutto per la
valenza che ha avuto sulla successione degli eventi, il motivo per cui la Enrica Lexie ha
abbandonato le acque internazionali per fare rientro sul porto di Koci a
seguito della richiesta indiana fatta al Comandante della nave. Fin dal primo
momento è stato reso pubblico che la decisione del Comandante era stata presa
dopo una consultazione con l'armatore che sembra avesse importanti rapporti
commerciali con l’India, senza coinvolgere lo Stato Maggiore della Marina e
l’Unità di Crisi della Farnesina, se non altro per un auspicabile e comprensibile
coordinamento trasversale e condivisione delle decisioni.
La prima mossa errata e di fondamentale valenza per l’intera
vicenda, ancora tutta da chiarire e che è avvenuta con ogni probabilità per una scarsa
chiarezza e completezza di quelli che sarebbero dovuti essere gli auspicabili accordi
attuativi fra i Dicasteri interessati e
gli armatori per dare corso ai contenuti del D.L. del 12 luglio 2011 sulla
lotta anti pirateria. Il Decreto prevede, infatti all’articolo 5 che “…..al
Capo Nucleo fa capo la responsabilità esclusiva dell’attività di contrasto
militare alla pirateria ed al personale da esso dipendente sono attribuite le
funzioni rispettivamente di ufficiale e di agente di polizia giudiziaria……”.
Il Decreto, non definisce, però e per quanto dato da capire,
a chi faccia capo la gestione ed il
coordinamento dell’emergenza nel suo complesso.
Un disposto di Legge che peraltro cerca di affrontare e
chiarire nel dettaglio solo gli aspetti economici del concorso militare a favore degli armatori, ma poco o nulla
dettaglia sulle eventuali deroghe al diritto internazionale di navigazione che
potessero garantire ai nostri militari una gestione completa e professionale
dell’evento altrimenti affidata a personale della Marina Mercantile, sicuramente
non abituato al management anche della sola difesa passiva che occorre modulare
con le azioni di contrasto attivo al
momento dell’emergenza.
Come
accennato, otto mesi di silenzio , di basso profilo e di appelli continui alla
riservatezza, rotti talvolta però da estemporanee dichiarazioni come quella
datata 18 maggio 2012 del Sottosegretario agli Esteri De Mistura quando ha
detto ad una televisione indiana “"Essi (i
marò italiani) avevano cercato di mandare dei segnali. Hanno sparato nell'acqua
e hanno sparato dei colpi di avvertimento, alcuni dei quali sono andati nella
direzione sbagliata". Egli ha descritto la morte dei due pescatori causata
dagli spari come una "uccisione accidentale" e uno "sfortunato
incidente di cui tutti si rammaricano. I nostri marines non avrebbero mai
voluto che accadesse, ma purtroppo è avvenuto" (ndr traduzione
dall’inglese).
Pensieri
o convinzioni personali che hanno rotto all’improvviso un silenzio assordante,
sicuramente travalicando i limiti di un low profile continuamente ripetuto e
raccomandato proprio dal Ministero degli Affari Esteri e che, forse, sarebbe stato meglio evitare di esternare in
un momento in cui la fase istruttoria era in corso e si stava delineando un
futuro difficile per i nostri militari.
Inoltre, voci dell’ultima ora sono abbastanza preoccupanti.
Sembrano, infatti, riemergere
riflessioni anche a livello istituzionale sull’ipotesi che quanto contestato
dalle Autorità del Kerala ai nostri militari possa trovare una qualche
rispondenza nei fatti avvenuti.
Un’interpretazione degli
eventi comunque tutta da provare e riscontrare sulla base di elementi oggettivi
che sembra siano in possesso solo delle Autorità indiane, peraltro acquisiti, come dato da capire, senza nessun contraddittorio tecnico /
giuridico nell’assoluta garanzia dei vincoli imposti dal diritto nazionale
italiano.
Se invece siamo solo a livello ipotesi forse in questo
momento sarebbe opportuno nemmeno delinearla in quanto potrebbe influire
negativamente sulla situazione dei due nostri militari e comunque sarebbe giustificabile
solo se indotta da conoscenza particolari ad altri non note o da deduzioni
conseguenti a decisioni o iniziative di Tribunali italiani.
Peraltro, qualsiasi congettura di questo genere, tutta da
verificare, contribuirebbe ad intaccare la fiducia e la certezza della tutela nazionale,
in tutti coloro che vestendo un’uniforme sono impegnati sul territorio
nazionale e Fuori Area per mantenere alto il prestigio dell’Italia e per garantire
la sicurezza diretta ed indiretta ai proprio concittadini.
Posizioni che se emergessero dovrebbero essere
inequivocabilmente chiarite per non intaccare l’Onore ed il prestigio delle
nostre Forze Armate che meritano il rispetto e la considerazione che tutte le altre
Nazioni del mondo custodi di tradizioni democratiche ripongono nei propri
soldati.
Una prima serie di dubbi che si propongono certi di non
travalicare nessun obbligo di riservatezza, in quanto parte di pochi fatti resi noti a
tutti dai media nazionali ed internazionali.
5 ottobre 2012, 1200