Hamas
ha ripreso a bersagliare il territorio israeliano con un numero considerevole
di razzi anche a lungo raggio in grado di colpire Tel Aviv. Materiale militare
fornito quasi sicuramente dall’Iran come il missile Fajr-5, parti del quale sono state trovate fra i resti
di un missile distrutto dalla contraerea israeliana.
Una
recrudescenza dei vecchi contrasti che rompe la fragile tregua raggiunta nel
tempo e che si manifesta a ridosso di
recenti eventi significativi negli USA.
Le
dimissioni del Capo della CIA Petraeus e la sua deposizione al Congresso sui
fatti di Bengasi da cui emerge che ci fu una vera e propria azione di guerra studiata
da tempo e ben organizzata.
La
volontà espressa da Hilary Clinton di lasciare la carica di Segretario di Stato
dopo aver pubblicamente ammesso le proprie responsabilità per quanto accaduto a
Bengasi. Hilary che ebbe un’influenza importante nelle vicende della Primavera
Araba che portarono alla cacciata di Ben Alì e di Mubarak ed aprirono la strada
all’affermazione di nuove formazioni politiche tuttaltro che liberali e laiche.
Obama,
costretto ad affrontare immediatamente i problemi connessi a queste vicende, reduce
di una campagna elettorale durante la quale era riuscito a stento a rigettare le
accuse dei repubblicani che lo colpevolizzavano per la gestione dei fatti di
Bengasi e di tutta la politica americana in Medio Oriente ed in Africa
settentrionale. Scelte giudicate dagli avversari politici poco appropriate e
che di fatto hanno permesso il consolidamento nell’area di espressioni politiche favorevoli ad un’interpretazione
intransigente delle regole islamiche. I Fratelli Mussulmani in Egitto, il
partito degli An – Nahda in Tunisia, l’applicazione della “Sharia” in Libia.
Israele,
mentre il mondo era impegnato ad analizzare i fatti americani, ha effettuato
raid mirati sui territori di Gaza, uccidendo il capo militare di Hamas Ahmed
al-Jabari ed uno dei principali leader politici del movimento, Ahmed Abu Jalal.
Immediata
la risposta di Gaza sicuramente preparata da tempo. Non una reazione limitata
come avvenuto altre volte in passato, ma
un intenso e costante lancio di razzi su Israele tale da costringere Tel Aviv a
riaprire i rifugi rimasti chiusi dal 1991. Una risposta immediatamente
approvata dai vincitori della Primavera Araba, dell’Iran e della stessa lega
Araba.
Il
Presidente egiziano Mohamed Morsi ha inviato a Gaza il proprio Ministro degli
Esteri ed attestato truppe a ridosso dei confini con Israele. Il Presidente
Tunisino ha aperto una linea diretta con Hamas e la Lega Araba attraverso il
suo segretario generale Al Arabi, ha ufficializzato ferme e decise posizioni,
quali: tutti gli accordi di pace fra Hamas ed Israele dovranno essere rivisti,
le reazioni di autodifesa di Tel Aviv sono “crimini di guerra” contro i
palestinesi, “i massacri non devono restare impuniti”, la Lega Araba si “impegna con
i palestinesi a Gaza e altrove a sostenerli nel far fronte all’aggressione e
per rompere l’isolamento”.
Ieri 17
novembre , inoltre, il Ministro della Difesa iraniano Ahmad Vahidi
ha invitato il mondo mussulmano a vendicarsi contro le azioni di Israele
a Gaza. Un chiaro messaggio anche agli Hezbollah del Libano, posizionati a
ridosso del confine libanese con lo Stato ebraico, che potrebbero aprire un
secondo fronte contro Tel Aviv.
Lo
scenario che si sta configurando non è sicuramente semplice anche perché è
diminuita la tradizionale leadership di
Hamas, movimento radicale molto vicino ed ispirato ai Fratelli Mussulmani ma
lontano dall’integralismo inteso in senso assoluto caratteristico dello
jihadismo di Al Qaeda.
Oggi, nella
striscia di Gaza sono attivi diversi gruppi armati. Le Brigate Izzedim Al
Quassam, originariamente braccio armato di Hamas, che nel 2011 hanno compiuto
con decisione autonoma circa un migliaio di attacchi contro Israele.
Le
Brigade Al Quds, combattenti della jihad islamica, fondate nel 1990 su modello
iraniano fin dall’inizio protagoniste della
lotta armata.
I
gruppi salafisti di Jaish al Islam molto vicino ad Al Qaeda, che imputano ad Hamas la responsabilità di
essersi dimostrata troppo debole nei confronti di Israele e di non aver
applicato la legge coranica della “Sharia”.
L’ala
militante di Al Fatah, struttura politica e paramilitare dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina
(OLP), fondata nel 1959 da Yāser ʿArafāt, fedele al successore Abu Mazen. Fanno
parte di Al Fatah le brigate dei martiri
di Al Aqsa
Infine,
le brigate Salaheddin, espressione militare dei Comitati di Resistenza
popolare, nate alla fine degli anni ’90 dai dissidenti di Al Fatah, oggi
integrate da altri gruppi estremistici anche non palestinesi.
I molti
attori in gioco potrebbero far precipitare la situazione in un contesto reso ancora
più complicato dalle mutate realtà politiche dei Paesi islamici a ridosso del
Mediterraneo e dall’estrema conflittualità dell’Iran nei confronti di Israele che
ha subito una palese accelerazione anche per la situazione che si è venuta a
creare in Siria.
Il
tutto in un momento non facile per Obama costretto a riorganizzare il vertice
dell’intelligence USA e della politica estera statunitense, mentre Israele, per
difendere il proprio diritto di esistenza, è pronta a rientrare via terra a Gaza.
18
novembre 2012 – ore 12.00
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