sabato 3 novembre 2012

L’inciucio indiano


Massimiliano Latorre, Salvatore Girone, i nostri Fucilieri di Marina del reggimento S. Marco, da otto mesi sono in ostaggio dell’India e l’Alta Corte di Nuova Delhi non ha ancora pronunciato un verdetto.

 Massimiliano e Salvatore sono accusati di avere ucciso il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani che operavano di fronte alla costa indiana dello Stato Federale del Kerala.

 I due facevano parte del Nucleo di Protezione Militare destinato a garantire sicurezza alla nave,  secondo quanto prescritto dalla legge italiana n. 130 del 2 agosto 2011 e da una Convenzione ONU sottoscritta da quasi tutti le Nazioni, compresa l’India.

I fatti  sarebbero accaduti in conseguenza ad un’azione di contrasto alla pirateria marittima che i  due militari italiani avevano svolto imbarcati sulla petroliera italiana  Enrica Lexie,  in navigazione nell’Oceano indiano a 20 – 22 miglia marittime dalla costa, quando effettivamente il Nucleo di Protezione Antipirateria italiano aveva bloccato un attacco di un barchino di corsari, con un’azione dissuasiva;  colpi d’arma da fuoco sparati in acqua a scopo di avvertimento accompagnati da segnali acustici e luminosi.

Gli indiani con un sotterfugio hanno fatto rientrare la petroliera nel porto di Koci, arrestando immediatamente dopo i due militari, nell’assoluto disprezzo della norma internazionale sul “principio di immunità delle forze militari in transito”. Un’azione assolutamente arbitraria quella compiuta dall’India, incoraggiata forse da un cauto approccio dell’Italia, almeno nella fase iniziale della vicenda.

La nave  è stata fatta rientrare nelle acque territoriali indiane consegnandosi di fatto alle Autorità del Kerala con una decisione autonoma dell’armatore. Non è dato da capire se l’ordine sia stato concordato con le Istituzioni italiane civili e/o militari che, in caso di emergenza, avrebbero auspicabilmente dovuto avocare il coordinamento delle operazioni.  Un provvedimento che probabilmente non c’è stato per una carente formulazione delle norme attuative della Legge 130  sull’impiego di militari con funzioni di antipirateria marittima.

Successivamente, i due militari sono stati fatti sbarcare dalla nave e consegnati alle Autorità locali alla presenza di una nutrita ed autorevole rappresentanza diplomatica e militare italiana. Fra tutti il Console Generale a Mumbai Gianpaolo Cutillo e l’Addetto Militare presso l’Ambasciata italiana a Nuova Delhi, che per quanto reso noto hanno preferito scegliere la strada del compromesso piuttosto che avvalersi delle prerogative garantire dal loro status di diplomatici.   

Risulta che non fosse, invece,  presente l’Ambasciatore Giacomo Sanfelice di Monteforte, titolare delle garanzie concesse dall’immunità diplomatica universalmente riconosciute nel rispetto della Convenzione di Vienna del 1961 sulle Convenzioni Diplomatiche. Forse la sua presenza avrebbe potuto  conferire un tono di ufficialità più significativo, anche esercitando un’incisiva pressione sulle Autorità indiane a totale vantaggio dei nostri militari.

Durante il 1° interrogatorio a cui sono stati sottoposti Massimiliano e Salvatore, in contrasto con tutte le norme consuetudinarie, sembra che le Autorità italiane non hanno assicurato loro un interprete “giurato”, accreditato presso l’Ambasciata italiana. E’ stato invece preferito affidare la traduzione ad un Vescovo indiano di religione cattolica, probabilmente amico delle famiglie dei due poveri pescatori uccisi.

Il 18 febbraio, è iniziato il calvario per Massimiliano e Salvatore, un travaglio dovuto ad un inciucio perpetrato dall’India nei confronti dell’Italia senza riscontri oggettivi inconfutabili, molti dei quali oggi non esistono più.

Le ogive estratte dai corpi dei due morti, per quanto dato da conoscere, non risultano essere compatibili con il calibro del munizionamento in dotazione alle Forze Armate italiane ( analisi tecnica ing. Di Stefano, http://www.seeninside.net/piracy/). I danni sul peschereccio su cui erano imbarcati i due poveri pescatori uccisi non sono compatibili con una traiettoria di proiettili sparati dalla tolda dell’Enrica Lexie alta più di 20 m dal pelo dell’acqua. I cadaveri dei due pescatori non sono più disponibili per eventuali controperizie perché in fretta e furia cremati. Il natante su cui erano imbarcati al momento dei fatti non è più utilizzabile per eventuali esami tecnici, in quanto affondato.

Su quali prove si basi, dunque, l’accusa indiana è tutto da capire. L’unico fatto certo è che dal 18 febbraio l’India sta prevaricando qualsiasi norma del Diritto internazionale, con un serie di azioni a danno dell’Italia  che, in futuro, potrebbero rappresentare un pericoloso precedente.  

Un imbroglio mascherato da sofismi giuridici con un rimbalzo di competenze fra lo Stato Federale del Kerala e lo Stato Sovrano di Nuova Delhi nella gestione di un evento tutto da provare e comunque verificatosi in acque internazionali.

Il Kerala, la “Svizzera Tropicale indiana”, da sempre roccaforte della sinistra estrema e del potere sindacale dell’India, distante dal Governo Centrale di Delhi sul quale ha sempre esercitato condizionamenti anche rilevanti. 

L’inciucio indiano mascherato da cavilli giuridici, è piuttosto riconducibile a motivi politici come si evince dalle parole pronunciate dal portavoce del Ministro degli Esteri indiano in occasione del Gran Premio di Formula svolto il 28 ottobre a Delhi, quando ha criticato l’iniziativa della Ferrari di esporre  sulle proprie autovetture la Bandiera della Marina Militare italiana per esprimere solidarietà ai due Marò. Testuali le sue parole “utilizzare un evento sportivo per promuovere cause che non sono sportive  è non essere coerenti con lo spirito sportivo”, parole, peraltro, condivise da Ecclestone che ha specificato che lo sport non ha nulla a che fare con le “questioni politiche”.

Tutto avviene in un contesto internazionale indifferente. L’ONU tace anche se la lotta alla pirateria ha una valenza significativa per le Nazioni Unite. La NATO disattende un problema che potrebbe rientrare nell’articolo 5 della Carta dell’Alleanza. L’Unione Europea con la propria rappresentante Asthon dichiara che  “Non sarebbe corretto per l’UE intervenire in una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze giudiziarie di uno Stato Straniero”.

L’imbroglio indiano nel frattempo continua in danno di due nostri concittadini in Uniforme tenuti in ostaggio da otto mesi.
 
Roma 3 novembre 2012 – ore

Nessun commento: