Massimiliano Latorre, Salvatore
Girone, i nostri Fucilieri di Marina del reggimento S. Marco, da otto mesi sono
in ostaggio dell’India e l’Alta Corte di Nuova Delhi non ha ancora pronunciato
un verdetto.
I fatti sarebbero accaduti in conseguenza ad
un’azione di contrasto alla pirateria marittima che i due militari italiani avevano svolto
imbarcati sulla petroliera italiana Enrica Lexie,
in navigazione nell’Oceano indiano a 20 – 22 miglia marittime dalla
costa, quando effettivamente il Nucleo di Protezione Antipirateria italiano
aveva bloccato un attacco di un barchino di corsari, con un’azione dissuasiva; colpi d’arma da fuoco sparati in acqua a scopo
di avvertimento accompagnati da segnali acustici e luminosi.
Gli indiani con un sotterfugio
hanno fatto rientrare la petroliera nel porto di Koci, arrestando immediatamente
dopo i due militari, nell’assoluto disprezzo della norma internazionale sul “principio
di immunità delle forze militari in transito”. Un’azione assolutamente
arbitraria quella compiuta dall’India, incoraggiata forse da un cauto approccio
dell’Italia, almeno nella fase iniziale della vicenda.
La nave è stata fatta rientrare nelle acque
territoriali indiane consegnandosi di fatto alle Autorità del Kerala con una
decisione autonoma dell’armatore. Non è dato da capire se l’ordine sia stato
concordato con le Istituzioni italiane civili e/o militari che, in caso di
emergenza, avrebbero auspicabilmente dovuto avocare il coordinamento delle
operazioni. Un provvedimento che probabilmente
non c’è stato per una carente formulazione delle norme attuative della Legge
130 sull’impiego di militari con
funzioni di antipirateria marittima.
Successivamente, i due militari
sono stati fatti sbarcare dalla nave e consegnati alle Autorità locali alla presenza
di una nutrita ed autorevole rappresentanza diplomatica e militare italiana. Fra
tutti il Console Generale a Mumbai Gianpaolo Cutillo e l’Addetto Militare
presso l’Ambasciata italiana a Nuova Delhi, che per quanto reso noto hanno preferito
scegliere la strada del compromesso piuttosto che avvalersi delle prerogative
garantire dal loro status di diplomatici.
Risulta che non fosse, invece, presente l’Ambasciatore Giacomo Sanfelice di
Monteforte, titolare delle garanzie concesse dall’immunità diplomatica
universalmente riconosciute nel rispetto della Convenzione di Vienna del 1961
sulle Convenzioni Diplomatiche. Forse la sua presenza avrebbe potuto conferire un tono di ufficialità più significativo,
anche esercitando un’incisiva pressione sulle Autorità indiane a totale vantaggio
dei nostri militari.
Durante il 1° interrogatorio a
cui sono stati sottoposti Massimiliano e Salvatore, in contrasto con tutte le norme
consuetudinarie, sembra che le Autorità italiane non hanno assicurato loro un
interprete “giurato”, accreditato presso l’Ambasciata italiana. E’ stato invece
preferito affidare la traduzione ad un Vescovo indiano di religione cattolica,
probabilmente amico delle famiglie dei due poveri pescatori uccisi.
Il 18 febbraio, è iniziato il
calvario per Massimiliano e
Salvatore, un travaglio dovuto ad un inciucio perpetrato
dall’India nei confronti dell’Italia senza riscontri oggettivi inconfutabili,
molti dei quali oggi non esistono più.
Le ogive estratte dai corpi dei
due morti, per quanto dato da conoscere, non risultano essere compatibili con
il calibro del munizionamento in dotazione alle Forze Armate italiane ( analisi
tecnica ing. Di Stefano, http://www.seeninside.net/piracy/).
I danni sul peschereccio su cui erano imbarcati i due poveri pescatori uccisi
non sono compatibili con una traiettoria di proiettili sparati dalla tolda
dell’Enrica Lexie alta più di 20
m dal pelo dell’acqua. I cadaveri dei due pescatori non
sono più disponibili per eventuali controperizie perché in fretta e furia
cremati. Il natante su cui erano imbarcati al momento dei fatti non è più utilizzabile
per eventuali esami tecnici, in quanto affondato.
Su quali prove si basi, dunque,
l’accusa indiana è tutto da capire. L’unico fatto certo è che dal 18 febbraio l’India
sta prevaricando qualsiasi norma del Diritto internazionale, con un serie di
azioni a danno dell’Italia che, in
futuro, potrebbero rappresentare un pericoloso precedente.
Un imbroglio mascherato da
sofismi giuridici con un rimbalzo di competenze fra lo Stato Federale del Kerala
e lo Stato Sovrano di Nuova Delhi nella gestione di un evento tutto da provare
e comunque verificatosi in acque internazionali.
Il Kerala, la “Svizzera Tropicale
indiana”, da sempre roccaforte della sinistra estrema e del potere sindacale
dell’India, distante dal Governo Centrale di Delhi sul quale ha sempre
esercitato condizionamenti anche rilevanti.
L’inciucio indiano mascherato da
cavilli giuridici, è piuttosto riconducibile a motivi politici come si evince
dalle parole pronunciate dal portavoce del Ministro degli Esteri indiano in
occasione del Gran Premio di Formula svolto il 28 ottobre a Delhi, quando ha
criticato l’iniziativa della Ferrari di esporre
sulle proprie autovetture la Bandiera della Marina Militare italiana per
esprimere solidarietà ai due Marò. Testuali le sue parole “utilizzare un evento
sportivo per promuovere cause che non sono sportive è non essere coerenti con lo spirito
sportivo”, parole, peraltro, condivise da Ecclestone che ha specificato che lo
sport non ha nulla a che fare con le “questioni politiche”.
Tutto avviene in un contesto
internazionale indifferente. L’ONU tace anche se la lotta alla pirateria ha una
valenza significativa per le Nazioni Unite. La NATO disattende un problema che potrebbe
rientrare nell’articolo 5 della Carta dell’Alleanza. L’Unione Europea con la
propria rappresentante Asthon dichiara che “Non sarebbe corretto per l’UE intervenire in
una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze giudiziarie di uno
Stato Straniero”.
L’imbroglio indiano nel frattempo
continua in danno di due nostri concittadini in Uniforme tenuti in ostaggio da
otto mesi.
Roma 3 novembre 2012 – ore
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