Fra due settimane sarà trascorso un anno dal momento
in cui i nostri Marò sono stati catturati con l’inganno dall’India e costretti
a subire uno stato di detenzione seppure in libertà vigilata. 365 lunghi giorni
ed ancora non si intravede la soluzione del problema. Di nuovo una cortina
impenetrabile è calata sulla vicenda garantita dal silenzio tombale dei mezzi
di informazione e delle Istituzioni.
Una precedente ricostruzione del
Ministro Terzi titolata “Marò in India, ricostruzione del Ministro Terzi”,
ripresa e pubblicata domenica 27 gennaio su “Altrainformazione” http://alfredodecclesia.blogspot.it/2013/01/maro-in-indiaricostruzione-del-ministro.html?spref=fb)
dopo 12 mesi ripropone una serie di
quesiti su aspetti ancora non del tutto chiari, che invece meriterebbero un maggiore
approfondimento per capire esattamente
cosa sia successo il 15 febbraio 2012.
Ci dice il Ministro che “…., le autorità indiane
hanno chiesto via radio al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il
porto di Kochi (India, Stato del Kerala), precisando che avevano arrestato
alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare
gli autori dell'attacco.” Comunicazione del Centro di coordinamento per la
sicurezza in mare di Bombay che è risultata immediatamente falsa ed ingannevole
e come tale considerata reato penale dal Diritto Internazionale marittimo. Un’occasione
forse da non perdere per sottoporre i fatti alla valutazione delle strutture giuridiche internazionali, ma
l’Italia ha preferito scegliere l’approccio del low profile.
Possiamo ancora leggere, “…..decideva di dirigere in porto, informando di questa sua decisione il Centro operativo interforze della Difesa,….”. Anche il Ministro De Paola ha ammesso, con la risposta scritta 4-070507 ad un’interrogazione presentata alla Camera che “……l’autorizzazione a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò, tuttavia, per la presenza di NPM a bordo, è avvenuto a seguito di preventiva informazione della catena di comando militare nazionale…..”. E’ quindi lecito riproporre l’interrogativo per chiarire se il Centro Operativo Interforze della Difesa abbia informato immediatamente l’Unità di crisi del Ministero degli Esteri su quanto stesse accadendo nell’Oceano indiano con il coinvolgimento di una nave battente Bandiera italiana, di cittadini italiani imbarcati come equipaggio e come Nuclei Militari di Protezione antipirateria. Una domanda rimasta tale da 365 giorni e rimane ancora oscuro un aspetto importante della vicenda, quello di un possibile carente coordinamento fra i due Dicasteri.
Una sola certezza: all’arrivo della nave a Koci
erano ad attenderla in banchina il Console italiano a Mumbai e l’Addetto Militare accreditato in India.
Un altro
aspetto rilevante lo troviamo nell’affermazione del Ministro “Aggiungo che la missione militare dell'Unione europea
«Atalanta», di cui facciamo parte, contempla la possibilità di inviare nuclei
militari armati posti sotto il comando e il controllo della missione europea e
con chiare regole di ingaggio. La presenza di questi nuclei a bordo è conforme
anche alla risoluzione dell'ONU….”. Probabilmente l’ONU e l’Unione Europea dovevano,
quindi, farsi carico “motu proprio”
della vicenda e promuovere ogni iniziativa per una rapida ed efficacie
soluzione del problema nel pieno rispetto del Diritto Internazionale e della
“immunità sovrana” dei due militari di uno Stato Membro dell’Unione.
Nella relazione non emerge,
invece, lo scarso interesse internazionale
ed in particolare della UE, piuttosto viene sottolineata l’attenzione alla
vicenda della baronessa Catherine Asthon responsabile della politica estera
dell’Unione. La stessa che il 2 ottobre 2012 attraverso il suo portavoce ha
dichiarato in una lettera “Non sarebbe corretto per l’UE
intervenire in una questione che è posta dinanzi alle competenti istanze
giudiziarie di uno Stato Straniero”.
L'Alto rappresentante dell'Unione per gli
affari esteri e la politica di sicurezza tanto attento alla vicenda dei
due Marò da confondere i due militari italiani con “contractors” di ditte private di sicurezza.
Il Ministro sottolinea, inoltre, la validità dell’operato
degli organi diplomatici italiani presenti sul posto. Una difesa d’ufficio più
che condivisibile sul piano deontologico, ma non completamente su quello
sostanziale.
Terzi ci dice
“ La consegna e la discesa a terra dei Marò sono avvenute nonostante un'opposizione
fermamente opposta dalle nostre autorità diplomatiche e militari presenti sulla
Lexie, mi riferisco al console generale Cutillo e all'intero team formato
dall'ambasciatore a New Delhi, dall'addetto per la difesa e dagli esperti
legali….” . Se opposizione c’è stata non
credo, però, che possa essere definita
ferma, se non altro perché non risulta che i funzionari, nel rispetto della
Costituzione italiana, si siano opposti energicamente all’arresto di due
cittadini italiani da parte di uno Stato che per il reato loro addebitato
prevede la pena di morte, nonostante che fossero anche nella condizione di avvalersi dell’immunità
diplomatica. Un’opposizione che difficilmente la Polizia del Kerala avrebbe prevaricato
senza il “placet” del Governo Centrale
di Nuova Delhi, garante delle prerogative delle delegazioni diplomatiche,
giusto quanto previsto dalle Convenzioni dell’Aia.
Quegli stessi rappresentanti diplomatici che, sembra
di ricordare, all’atto del primo interrogatorio di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
hanno assicurato loro la traduzione simultanea di un Vescovo cristiano locale,
emotivamente coinvolto nei fatti, senza
invece assegnare un interprete giurato ed accreditato presso l’Ambasciata
italiana.
Se fermezza, quindi, vi è stata non ha avuto poi
grande successo ed è stata anche accompagnata da leggerezze procedurali che hanno
consentito ad uno Stato non appartenente all’Alleanza Atlantica di sequestrare, peraltro senza
contraddittorio, l’armamento, il munizionamento
e l’equipaggiamento di due militari di una Nazione della NATO.
Anche quanto relazionato sugli atti peritali compiuti lascia perplessi. Si parla di “È così che abbiamo ottenuto - e non senza molte discussioni e difficoltà - la partecipazione di due eccezionali esperti in questa materia, appartenenti all'Arma dei Carabinieri, quali osservatori qualificati delle operazioni concernenti questa perizia.”. Osservatori non significa periti di parte che abbiano partecipato alle indagini tecnico – scientifiche, ma persone che hanno solo potuto “guardare” le sommarie fasi iniziali senza poi essere coinvolti in quelli che potremmo definire “atti irripetibili”, come le analisi di reperti ed altro di importante che la storia processuale moderna ci indica come fondamentali.
Non si
mette in dubbio che l’Italia abbia tentato di coinvolgere
Paesi alleati ed Organizzazioni internazionale come ci dice il Ministro. “Abbiamo avviato un'azione di sensibilizzazione a tutto
campo e a tutti i livelli attraverso importanti Paesi amici e organizzazioni
internazionali per trovare una soluzione concreta che consenta di riportare a
casa i nostri uomini. Abbiamo interessato l'Unione europea e i Paesi membri più
influenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, anche il Segretario generale
delle Nazioni Unite, i Paesi a noi più vicini e più amici in Asia e nel
Mediterraneo.” . Si constata però che i risultati ottenuti sono stati irrilevanti.
Leggendo, poi, che “…..abbiamo ottenuto anche un sostegno
pubblico alla posizione italiana, espresso dalla stampa,….”, sembrerebbe che
tutti i media nazionali ed internazionali abbiano parlato a fondo e con cadenza
ciclica della vicenda dei due marò,
esprimendo posizioni ben precise contro la disattenzione indiana nell’applicazione
del Diritto internazionale. Non risulta, però, che ciò sia avvenuto. Piuttosto molte le
critiche della stampa internazionale per l’iniziativa della Ferrari in occasione del Gran
Premio di Nuova Delhi e molta attenzione nel riportare e commentare la una
“frettolosa” dichiarazione alla stampa indiana del Sottosegretario agli Esteri
De Mistura del 18 maggio 2012, “La morte dei due pescatori è stato un incidente
fortuito, un omicidio colposo. I nostri marò non hanno mai voluto che ciò
accadesse, ma purtroppo è successo».