Gli indiani stanno annaspando
dopo la decisione italiana di non fare rientrare in India i due Fucilieri di Marina Massimiliano
Latorre e Salvatore Girone
entro la data del 22 marzo prossimo giorno in cui scadrà la licenza di quattro
settimane loro concessa.
Il potere giudiziario indiano si
arroga il diritto di non validare l’immunità dell’Ambasciatore italiano nel
rispetto della Convenzione di Vienna sottoscritta anche da New Delhi fin dal 1965.
L’inviolabilità comporta una
serie di garanzie per colui che ne ha titolarità che non posso essere disattese
da uno Stato sovrano e tantomeno da un Tribunale. Colui al quale viene riconosciuto il diritto
di immunità con un atto formale di
“gradimento” da parte di uno Stato sovrano, non può essere fermato dalla
Polizia, non può essere perquisito né individualmente nè dove lavora o
alloggia. Al massimo lo Stato può annullare il gradimento e rimpatriare l’interessato,
ma mai limitarne la libertà personale.
Il Governo di Delhi potrebbe “sussurrare”
un divieto di movimento per lanciare un segnale politico, ma sicuramente nessun
atto giudiziario potrebbe impedire ad un Diplomatico di rientrare in Patria.
Qualora invece l’Ambasciatore italiano fosse trattenuto si eserciterebbe nei
suoi confronti un atto arbitrario configurabile nella presa di “ostaggio”,
azione di estrema gravità se commesso da un Paese che ha aderito alle regole
del Diritto internazionale e che susciterebbe
la disapprovazione del mondo intero.
L’India sta dimostrando di
brancolare nel buio. Falchi e colombe si pronunciano minuto dopo minuto
accavallandosi nelle dichiarazioni dando corpo a contrasti interni mai
cancellati ma sempre esistiti e dovuti
alle differenze di casta che nei decenni
hanno contraddistinto la cultura e la tradizione indiana. Questa volta i
magistrati di fronte ad un esecutivo che ancora non si pronuncia, ma che è l’unico a poter decidere se
l’Ambasciatore italiano deve essere espulso perché non gradito o a confermare la
fiducia nei suoi confronti.
In questo contesto un fatto è
certo : i Giudici indiani sanno di non avere alcun diritto di sottoporre a
giudizio i nostri Marò e stanno annaspando facendo finta di disconoscere anche
i contenuti della Carta delle Nazioni Unite di cui l’India fa parte. In
particolare l’Articolo 33 del Capitolo 6 della Carta che obbliga gli Stati a
trovare soluzioni pacifiche in caso di controversie internazionali, ricorrendo
ad ogni possibile concertazione diplomatica che non è certo la negazione dei
diritti propri ad un Ambasciatore. Qualora la mediazione non fosse possibile
l’ONU prevede che uno degli Stati interessati
possa invocare una decisione arbitrale
internazionale.
Roma lo ha fatto, ma i Giudici di
Delhi continuano a “fare gli indiani”. Forse a tal punto senza esitazione l’Italia dovrebbe
mandare un segnale richiamandosi al diritto “di reciprocità”, inducendo New Delhi
a più miti consigli ed ad un maggiore rispetto delle Convenzioni sottoscritte
negli anni
Roma 18 marzo 2013 – ore 17.00
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