Ormai,
non passa giorno senza che non si abbia
notizia di atti eversivi che si verificano in varie parti del mondo. Eventi
cruenti con morti, feriti e distruzioni, compiuti anche da soggetti isolati che
il più delle volte vengono affrettatamente definiti come persone affette da
disturbi mentali indotti da disagio sociale.
Semplificazioni
quasi sempre destinate ad essere
smentite dai fatti e dalla storia dei personaggi convolti. Chi ferisce passanti
con un machete, chi si lancia a folle velocità su pedoni inermi, chi si fa
esplodere in mezzo alla gente, sicuramente è un personaggio la cui struttura
mentale è “terreno fertile” per accogliere indottrinamenti estremi, ma non
rappresenta la condizione sostanziale perché l’individuo diventi un operatore
del terrorismo.
Il
terrorista, infatti, per garantire il successo della propria azione deve
possedere lucidità mentale, concentrazione e preparazione, caratteristiche
sicuramente non proprie di soggetti con problemi mentali.
Definire,
quindi, costoro “pazzi” è un grave errore di valutazione, destinato ad
amplificare il vantaggio che caratterizza qualsiasi azione terroristica, primo
fra tutti l’effetto sorpresa. Piuttosto, per affrontare qualsiasi evento
eversivo con concretezza e prepararsi a ridurre la probabilità di una sua
ripetizione, è necessario dare una risposta immediata e concreta che derivi da
attente analisi escludendo qualsiasi semplificazione dovuta a giudizi
affrettati. Il tutto cercando di non turbare il regolare svolgimento della vita
sociale per non favorire lo scopo principale che i ogni terrorista si prefigge,
creare panico ed incertezza fra la gente.
Poche,
semplici predisposizioni anche temporanee, ma che escludano sempre la “demenza”
come causa scatenante dall’evento terroristico, ma una serie di contromisure
che lascino intendere al possibile avversario - sicuramente attento alle contro
mosse del nemico - la determinazione e la capacità di prevenzione e
repressione. Nello stesso tempo adeguare e testare ogni possibile tecnica e
tattica attendista, ma fronteggiare le posizioni ostili con una vera e propria
pianificazione di contingenza che consenta di prevenire e, all’emergenza, di reagire
il più efficacemente possibile.
Uno
degli atti di contrasto fondamentali è lo studio delle possibili azioni delle
organizzazioni terroristiche. Deve essere sviluppato senza condizionamenti
politici o diparte, coniugando la strategia difensiva con quella offensiva.
Una
serie di iniziative complesse che devono partire da un’attenta e puntuale
formazione degli Operatori che si occupano di sicurezza, sviluppate tenendo
conto dei nuovi scenari internazionali e che coinvolgano anche la popolazione
civile attivando un’ informazione mirata affidata ad esperti del settore che
gestiscano semplici messaggi a livello spot televisivo, richiamandosi a modelli
ormai consolidati come quelli israeliani.
Nel
contempo, “studiare e monitorare” l’approccio terroristico immedesimandosi
nelle scelte operative che un’organizzazione eversiva potrebbe sviluppare, in particolare nella scelta degli
obiettivi, simboli e persone che appartengono a determinate categorie
sociali, etniche, e religiose.
Quanto
sta avvenendo in questi giorni dimostra, infatti, che le scelte terroristiche
sono in continua mutuazione. Almeno per ora non attacchi kamikaze con esplosivi,
ma persone armate di coltello che colpiscono apparentemente casualmente e non si
sottraggono alla reazione dell’avversario.
E’ accaduto a Rouen, a Londra, in Germania ed ora in Belgio, sicuramente
contro obiettivi non casuali. Un prete, una donna israeliana ed una degli Stati
Uniti, un gruppo di turisti giapponesi e due poliziotte in servizio di
vigilanza.
Azioni
improvvise destinate a richiamare una copertura mediatica immediata, pronta a
dare risaltò all’evento e, se del caso, ad amplificarne i contenuti esaltando
l’atto terroristico.
A
differenza del passato, quando le organizzazioni eversive si richiamavano a rivendicazioni politiche a carattere
nazionale, oggi il terrorismo moderno rivendica qualcosa di globale per
ottenere una riforma radicale della società che includa motivazioni di rigetto
dell’ideologia colonialista, richiamandosi a “dogmi” di origine leninista per
affermare la validità delle azioni rivoluzionare.
I
terroristi, siano essi cellule di un nucleo eversivo o lupi solitari, non sono
sicuramente dei pazzi nè tantomeno disadattati che agiscono sotto un impulso
improvviso ed incontrollato. Bensì gente preparata a sabotare e distruggere,
guidati da ferrei convincimenti
religiosi in cui domina la convinzione che l’avversario da colpire è un
apostata o un miscredente e loro hanno il “mandato divino” di divulgare un
credo che giustifichi l’uso della violenza in nome di una “guerra santa”.
In
questo quadro di situazione, affermare che i network terroristici siano formati
da disadattati mentali rappresenta una semplificazione inaccettabile e
pericolosissima, in particolare se diventa vocabolario corrente dei media.
Piuttosto sarebbe auspicabile disporre di una comunicazione che informi come
costoro siano, invece, gente preparata
sul piano militare ed ideologico, convinti che l’avversario da colpire sia un
miscredente da annientare.
Fernando
Termentini
7
agosto 2016, ore 22,00
1 commento:
Proprio per il fatto che chi compie queste azioni lo fa in base ad una preparazione tattica e dottrinale, occorre che la nostra risposta preveda misure di controterrorismo non solo di prevenzione (intelligence) ma anche di contrattacco sul campo: Serve una preparazione diffusa sulle metodiche di difesa e risposta operativa
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